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SVILUPPO CAPITALISTICO E NUOVA PROLETARIZZAZIONE
BAMBINI LAVORATORI: UN FENOMENO MONDIALE

MANCHETTE

LO SFRUTTAMENTO DI CENTINAIA DI MILIONI (SECONDO L’INTERNATIONAL LABOUR ORGANISATION – AGENZIA ONU - SONO 250 MILIONI) DI BAMBINI E RAGAZZI COSTRETTI IN CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO DIFFICILMENTE IMMAGINABILI E’UNA REALTA’ DELLA NOSTRA EPOCA DI CUI POCO SI PARLA.
A VOLTE ARTICOLI DI GIORNALE E DOCUMENTARI TV SOLLEVANO LO SDEGNO, GIOCANO SULL’EMOTIVITA’ COME NEL 1993 QUANDO IN UNA FABBRICA DI GIOCATTOLI IN CINA MORIRONO BRUCIATI 273 LAVORATORI, TRA CUI MOLTI BAMBINI. NOTIZIE CHE FOMENTANO PROTESTE TRA I CONSUMATORI E OBBLIGANO ALCUNE AZIENDE – LEVI’S AD ESEMPIO – A NUOVE POLITICHE COMMERCIALI.
1999 - BAMBINI SCAVANO NELLE VISCERE DELLA TERRA IN PERU’, LAVORANO NELLE PIANTAGIONI IN INDIA PER 10 ORE AL GIORNO - SALARIO 450 LIRE; SONO OPERAI DELL’INDUSTRIA IN INDONESIA DOVE SI CONTANO 300 MILA TUTE BLU CON MENO DI 14 ANNI CHE LAVORANO OLTRE 45 ORE LA SETTIMANA PER 5600 LIRE DI SALARIO; SONO AL LAVORO NEI CAMPI E NELLE CITTA’ IN ITALIA COME NELL’EUROPA ORIENTALE; VENDONO GIORNALI, LAVANO VETRI, TIRANO RISCIO’, FRUGANO NEI RIFIUTI A MANILA E AL CAIRO. SPESSO ANALFABETI, A VOLTE RIDOTTI IN CONDIZIONI DI SCHIAVITU’, MINATI NELLA SALUTE, CON LO SVILUPPO PSICOFISICO COMPROMESSO (HANNO STATURA E PESO INFERIORI A QUELLI DEI LORO COETANEI CHE STUDIANO) MENTRE SI ESTENDE IL FENOMENO DI MASSA DEL "TURISMO SESSUALE" AI LORO DANNI.
E’ QUESTA LA MODERNA BARBARIE, L’AFFIORARE DELLA PUTRESCENZA SOCIALE.
QUANDO I MEDIA AFFRONTANO QUESTI ARGOMENTI USANO IL TERMINE "OTTOCENTESCO". PIU’ DI UN SECOLO FA EMILE ZOLA, PUBBLICAVA "GERMINAL" LIBRO-DENUNCIA SUL LAVORO DI ADULTI E BAMBINI NELLE MINIERE FRANCESI.
NEI RAPPORTI DELLE AGENZIE ONU LE DESCRIZIONI SPESSO SONO SIMILI, CAMBIA IL LINGUAGGIO! CERTO, NON HANNO UNO ZOLA!
E’ QUESTA LA CONDIZIONE DI UNA PARTE CONSISTENTE DELLA NUOVA PROLETARIZZAZIONE DEI PAESI A PIU’ RECENTE SVILUPPO CAPITALISTICO DI ASIA, AFRICA E AMERICA LATINA.
QUI AUMENTA IN MODO CONSISTENTE LA POPOLAZIONE IN GENERE E QUELLA ATTIVA IN PARTICOLARE; SONO SOCIETA’ DI GIOVANI E BAMBINI, AL CONTRARIO DI QUELLE DEI PAESI IMPERIALISTI CHE INVECCHIANO VELOCEMENTE. IN QUESTE AREE LO SVILUPPO CAPITALISTICO ACCELERATO, CAOTICO, CONVULSO HA SCARDINATO REGIMI POLITICI, TRADIZIONI, COSTUMI, LEGAMI FAMILIARI, AUMENTATO MIGRAZIONI E SCONTRI ETNICI.

PREMESSA

Il mensile francese di politica estera "Le Monde Diplomatique" mesi fa titolava "la corsa alla competitività chiederà un giorno alla stessa Europa di far tornare a lavorare i bambini in massa: bella vittoria!".
Venerdì 5 marzo 1999, quotidiano "La Stampa", prima pagina - taglio basso "Torino. Si addormentava sul banco di scuola. La classe ha lanciato l’allarme: i compagni salvano la piccola schiava." In pagina locale " Li, piccola schiava a 13 anni: tutta la notte costretta a cucire i pantaloni", segue la cronaca della scoperta in un alloggio di ballatoio, due stanze cinque macchine per cucire e una brandina, di un quartiere della vecchia Torino (quella di De Amicis con i piccoli scrivani e i piccoli muratori…) in cui la piccola, immigrata da un anno, cinese del Zhejiang lavorava per 12-13 ore al giorno cucendo pantaloni conto terzi per pagare il debito contratto con chi ha finanziato il viaggio in Italia.
I signori ‘terzomondisti’, al solito strabici, attenti al destino dei loro figli ed ad ogni sorta di "nobile causa", non si sono accorti delle migliaia di bambini (immigrati e non) che sono al lavoro sotto i loro occhi.
Non sono fatti isolati tanto che la Procura di Torino ha costituito un pool che indaga sulle condizioni di lavoro di quelle che sono definite "fasce deboli" della popolazione.
Il sindacato ha denunciato la presenza di laboratori clandestini nel settore abbigliamento in Toscana in particolare nella zona di Prato, in uno di questi una ragazzina ha partorito sul luogo di lavoro perché non le avevano permesso di allontanarsi.

E’ apparsa agli inizi del 1998 sul "Corriere della Sera" un’inchiesta sulle fabbriche che lavorano per Benetton in Turchia in cui si denunciava la presenza di lavoro minorile; ne è seguita una querelle con risvolti giudiziari finita anche alla trasmissione di Gad Lerner , presente S.Cofferati, segretario CGIL.

LA STORIA DI IQBAL MASIQ

E’ passato in Tv in quell’occasione il film su Iqbal Masiq il bambino (nato nel 1983) pachistano che si è ribellato alla sua condizione di schiavitù come tessitore di tappeti, denunciato la sua condizione sia nel suo paese che all’estero. Iqbal all’età di 4 anni era stato "ceduto" dal padre per 12 dollari; gli interessi sul "prestito" ottenuto in cambio del suo lavoro - salario di 100 lire al giorno - non avevano fatto che accrescere il debito e portato ad una schiavitu’ senza fine.
Picchiato, incatenato al telaio dopo alcuni tentativi di fuga; i bambini schiavi sono spesso puniti e non protestano, di solito…
Nel 1992 Iqbal e altri compagni usciti di nascosto dalla fabbrica partecipano alla giornata organizzata dal Fronte di Liberazione dal lavoro Schiavizzato (BLLF), Iqbal si trova tra le mani un volantino in cui si parla di quelli come lui, ma è analfabeta; si rivolge ad un altro ragazzo, l’unico del gruppo che sa leggere.
Iqbal conosce un leader del BLLF, il sindacalista pachistano Eshan Ullah Khan, fa un discorso improvvisato alla gente che assiste ad uno spettacolo (diffuso anche in Arabia) in cui piccoli bambini (che con le loro grida di paura incitano la corsa degli animali) sono utilizzati come fantini nelle corse di cavalli, dromedari, elefanti, con cadute spesso mortali.
I giornali locali riprendono la storia che rimbalza sui network mondiali; Iqbal non ritorna in fabbrica, un avvocato del BLLF lo aiuta a presentare una lettera di "dimissioni" e inizia a studiare, partecipa a convegni anche in Usa ed Europa; vince il Premio Reebok per la Gioventù in azione…(sic!)
Il 16 aprile ‘95 , all’età di 12 anni, a causa di questa sua attività viene assassinato nella sua città natale, Muridke.

Secondo stime dell’Unicef (agenzia Onu ) in Pakistan sarebbero 8 milioni i bambini tra i 10 e 14 anni che lavorano (circa il 20% della popolazione attiva).

LAVORO MINORILE IN ITALIA

La legge italiana 977 del 1967 vieta il lavoro sotto i 15 anni e comunque non prima del termine della scuola dell’obbligo (si può lavorare a 14 anni solo nell’agricoltura e servizi familiari).
Il 16 Aprile 1998 governo, sindacati e associazioni degli imprenditori hanno firmato una "carta degli impegni" per eliminare il lavoro infantile e minorile.
S. Cofferati, reduce dalla partecipazione al convegno di Nuova Delhi sul lavoro minorile, ha detto che in Italia sono 250 mila i bambini e ragazzi coinvolti.
Proprio in quei giorni è stata scoperta una fabbrica di Bronte in Sicilia che cuciva pantaloni per note firme della moda utilizzando ragazzine e alcuni incidenti stradali hanno fatto riemergere il problema del "caporalato" nel settore agricolo in Puglia che coinvolge donne e ancora ragazzine.
Secondo l’Iscos-Cisl si conterebbero in Italia 320 mila bambini lavoratori, in maggioranza nelle regioni del Sud, occupati nelle officine e come braccianti nei campi, nei servizi; solo in Campania sarebbero 90 mila - salario 10 mila lire alla settimana - e decine di migliaia i bambini sulle strade, soprattutto stranieri, che si guadagnano la vita con l’elemosina, lavando i vetri ecc.
La stima della Cisl secondo l’Istat (incaricata dal Ministero del lavoro di verificare l’entità del fenomeno) sarebbe sovrastimata perché data dalla sommatoria di 276 mila bambini che "aiutano i genitori nel lavoro", 34 mila che "aiutano parenti non conviventi nel lavoro", 12 mila "aiutano altri nel lavoro"; sarebbero questi ultimi la vera patologia, dove si annida lo sfruttamento.
In genere in Italia sono più coinvolti gli immigrati, in particolare maghrebini, Rom e cinesi; si presentano varie tipologie di lavoro minorile, accanto ai casi in cui esso è legato alle necessità economiche ci sarebbe la necessità, per le famiglie, di acquisire status sociale, comprare beni di consumo.
Non a caso in aree come il Nord-Est con forte richieste di manodopera si verifica un alto numero di abbandoni della scuola in particolare nei primi anni delle medie superiori. Nell’anno scolastico 1996/97 gli abbandoni al primo anno nel Nord sono stati pari al 15% e le bocciature il 18,1% degli iscritti.
E’ palese la contraddizione tra le necessità dello sviluppo molecolare del capitalismo che agisce sul basso costo della manodopera e quello della formazione e preparazione della forza lavoro; sono i problemi irrisolti della scuola italiana.
Il lavoro minorile è determinato dunque da un intreccio di interessi economici, tendenze demografiche, redditi e ideologie.
" i manifatturieri danno spesso la preferenza al lavoro delle donne e dei fanciulli a cagione dell’inferiorità del salario…In lotta col lavoro adulto, il lavoro dei fanciulli…agevola il capitalista a ridurre al minimo il costo della produzione e quindi a regolare dispoticamente la domanda di lavoro e a monopolizzare la mano d’opera" cosi’ scriveva alla fine del secolo scorso G. Tarozzi filantropo e studioso di questioni sociali parlando del lavoro minorile in Puglia.
Queste condizioni rimangono ancora oggi, sono la faccia speculare della società opulenta e informatica.

BAMBINI LAVORATORI NEL MONDO

Non esistono dati complessivi ma solo stime. Il problema, oltre che nelle metodologie di studio, è nella voluta assenza di dati per cui l’ILO fornisce delle stime ricavate dalla generalizzazione di dati ottenuti con studi accurati, ma su situazioni particolari.
(Vedi: Il Lavoro minorile nel mondo. L’intollerabile nel mirino, VI rapporto della Conferenza Internazionale del Lavoro - 86° sessione – giugno 1998)
Per l’ufficio statistiche dell’ILO il lavoro minorile è quello tra 5 e 12 anni e a questo criterio ci atteniamo se non diversamente specificato; dobbiamo notare che non è neppure univoca la definizione di fanciullo, lavoro minorile, sfruttamento, ecc. E certo non è un caso.
Nell’analisi del fenomeno si distingue tra child labour cioè lavoro pesante legato a sfruttamento e schiavitù e child work cioè forme più "leggere" di attività che spesso le legislazioni non penalizzano e non sono condannate sotto il profilo sociale.
L’Unicef parla di due categorie: quelli che aiutano la propria famiglia, spesso contadini o artigiani poveri, e comunque spesso vanno a scuola; e quelli che vengono sfruttati da padroni a volte multinazionali; distingue tra casi meno gravi di lavoro per alcune ore al giorno senza pregiudicare la salute e la crescita e quelli più gravi a tempo pieno e in condizioni di nocività.
In ogni caso tutte le fonti sono unanimi nel definire il lavoro infantile e minorile un fenomeno mondiale, anche se diversamente quantificato.
Nel mondo ci sono circa 2 miliardi di bambini e ragazzi di età compresa tra 0 e 18 anni; 9 su 10 (pari all’87%) vivono nei paesi di recente sviluppo capitalistico.
Di essi 250 milioni sono i bambini tra i 5 e 14 anni che lavorano (120 milioni lavorano a tempo pieno, 130 milioni a tempo parziale), su una popolazione attiva mondiale che è di circa 2,5 miliardi, quindi il lavoro minorile rappresenta il 5-10% era il 5% (93 milioni) nel 1980, quindi è un fenomeno in crescita.

Distribuzione geografica

ASIA 153 milioni pari al 61%
AFRICA 80 milioni 32% del totale mondiale ma il 40% di tutti i bambini africani.
AMERICA LATINA 17,5 milioni 7%
(Vedi tabelle A-B-C)

Il fenomeno tocca anche gli Stati Uniti: qui lavorano 5,5 milioni di bambini e le violazioni alle leggi che regolamentano il lavoro dei minori sono aumentate del 250% tra il 1983 e il 1990. L’ILO calcola che lavori il 28% dei ragazzi sotto i 15 anni.
Le organizzazioni internazionali segnalano una forte diffusione del lavoro minorile nei paesi dell’Europa dell’Est e dell’Asia già capitalstatali.
Il periodico francese "Alternatives Economiques" scrive che, nei paesi dell’Est Europa, un bambino lavavetri arriva a guadagnare quantoun tecnico informatico.
In Portogallo una legge, preso atto di questa realtà, nel 1993 ha reso legale il lavoro minorile purché "leggero". E’ unfenomeno inarrestabile.

LAVORO MINORILE QUALI RIMEDI?

Un aspro dibattito internazionale è in corso tra quanti sostengono che è meglio il lavoro infantile piuttosto che morire di fame e quanti sono per l’opposizione drastica proponendo boicottaggi, clausole sociali.
Questi ultimi prevalevano fino a pochi anni fa, almeno sino alla vicenda dell’Harkin’s Bill.
Nel 1993 il senatore USA Harkin ha presentato al parlamento una proposta di legge (ancora oggi la legge non è ancora passata…..) per bandire le importazioni di merci prodotte impiegando manodopera sotto i 15 anni (notare, ad esempio, che in Indonesia il lavoro minorile è legale per 4 ore il giorno). La reazione dell’industria tessile in Bangladesh, dove nel 1990 il 13% della forza lavoro era composta da bambini è stata quella di licenziare 55 mila minori. Dopo due anni nessuno di essi era ritornato a scuola, molti erano stati assorbiti in altri settori, si era avuto un incremento della prostituzione tra lo sconcerto degli "umanitaristi"; dovettero intervenire le organizzazioni come l’UNICEF per evitare problemi ancora maggiori.
Si calcola che solo il 5% dei bambini sia impiegato in industrie che lavorano per l’export. è questo uno degli aspetti controversi della proposta Harkin, La proposta di legge è stata accusata di intento corporativo e protezionista allo scopo di difendere i prodotti USA dalla concorrenza di manufatti più competitivi e comunque di essere funzionale a imprese che hanno la loro sede centrale nel collegio elettorale del senatore..

DUMPING SOCIALE E SINDACATI

Per dumping sociale si intende l’imposizione di clausole (sociali) contro chi impiega il lavoro dei bambini.
Dal 1994 il sindacato internazionale ICFTU, a cui appartengono oggi quasi tutti i sindacati del mondo comprese CGIL-CISL-UIL, ha avviato una campagna contro il lavoro minorile, scrive l’APRO (sindacati asiatici affiliati all’ICFTU) che "non è necessaria una clausola protezionista ma un vincolo". Si richiede di vietare l’ingresso alle merci dei paesi in cui non siano rispettate 4 condizioni: 
1. Assenza di discriminazioni di sesso, razza, religione sui luoghi di lavoro; 
2. Divieto di lavoro minorile; 
3. Divieto di lavoro in schiavitù; 
4. Divieto di organizzazione sindacale.
Il meccanismo prevede che l’ILO e la WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) possano effettuare controlli emettendo sanzioni in caso di inadempienza o elargendo benefici e superando così la fase degli embarghi unilaterali.
I sindacati dei paesi più sviluppati e di parte dei NIC sono d’accordo, contrari i governi dei NIC (New Dehli Declaration, 1994) e importanti sindacati come quelli indiani. I sindacati indiani denunciano le clausole sociali come protezioniste, perché non toccano le produzioni per i mercati interni e sarebbero quindi poco efficaci, le eventuali sanzioni toccherebbero anche settori che non utilizzano lavoro minorile, definiscono la WTO un organismo "poco democratico" e governato dai "paesi ricchi", i controlli sul rispetto delle clausole sarebbero molto difficili e infine sottolineano come il lavoro minorile dipenda innanzitutto dalla povertà e dal debito estero contratto dai NIC nei confronti del "nord" del mondo. Allo stesso tempo il sindacato indiano CITU chiede un aumento di almeno il 50% del salario minimo legale per gli adulti allo scopo di ridurre il lavoro minorile, ma alcuni sostengono che questo potrebbe avere, al contrario, l’effetto di ampliarlo. Il social dumping è una carta nella partita che si gioca sul debito estero e più in generale sui rapporti finanziari internazionali. Le clausole sociali possono essere utilizzate da alcune aziende per una politica di vendite a prezzi più alti, di produttività più elevata, presentandosi ad azionisti e consumatori con la "coscienza a posto".
Le proteste di consumatori in Occidente, dopo aver visto dei documentari sul lavoro minorile, hanno indotto la Levi’s ad adottare un codice di autoregolamentazione che esclude i fornitori che utilizzano lavoro minorile e industrie di tappeti ad adottare il Rug-Mark che garantisce il prodotto.
Più di recente, in particolare in Europa, si vuole l’applicazione del "sistema delle preferenze generalizzate" che garantisce l’accesso privilegiato al mercato (attraverso riduzioni tariffarie) alle merci prodotte nel rispetto delle convenzioni ILO. Si sostiene che questo sistema sarebbe più graduale ed eliminerebbe anche il sospetto di protezionismo.
C’è un problema: la Convenzione n.138 dell’ILO, anno 1973, sull’età minima, che stabilisce il limite per l’accesso al lavoro a 15 anni, legandolo al completamento dell’istruzione scolastica, ad aprile 98 è stata ratificata solo da 49 paesi su 173 membri; di questi 21 sono NIC (nessuno è asiatico). Non hanno sottoscritto, tra gli altri: USA (che non ha firmato neppure la convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989), Canada, Messico, Gran Bretagna, Australia, Giappone.
E’ significativo che la Convenzione del 1957 sul divieto di lavoro forzato è stata di recente denunciata dalla Malesia e Singapore.

BAMBINI, MISERIA E GRANDE INDUSTRIA

Il lavoro minorile è determinato dalla struttura del mercato del lavoro, dalle tecniche di produzione; è legato a volte alla carenza di manodopera, alla convenienza nell’utilizzo di (piccole) braccia rispetto all’investimento in macchinari, alla povertà delle famiglie.
In India è considerata povera, nelle statistiche, una famiglia che ha un reddito pari a 1/5 di quanto ritenuto necessario a soddisfare le esigenze nutrizionali fondamentali.
In queste condizioni, di miseria capitalistica, si attua lo sfruttamento dei bambini da parte dei genitori, la vendita di bambini come schiavi per pagare debiti (prezzo 10.000 lire).
I bambini lavoratori, rispetto agli adulti, si lamentano di meno, sono più disciplinati, si adattano meglio a lavoro monotono, sono più affidabili, meno dediti al furto, meno assenteisti (sostiene l’ILO).
I ragazzi sono pagati meno degli adulti. Secondo un recente studio condotto in India, l’utilizzo di manodopera minorile permette un risparmio sul costo di vendita finale dei tappeti dal 5 al 10%. Questo peraltro indica quanto poco incida il costo del lavoro (forza lavoro) in generale; ma quando, come nell’industria dei tappeti, gli imprenditori sono proprietari di 1-2 telai, pur con un margine di utile molto ristretto, impiegando fanciulli possono arrivare a raddoppiare il loro reddito.

Chi contrasta il lavoro minorile?

A parole tutti, ma lo sappiamo, le "anime belle" non esistono.
Dietro clausole sociali e convenzioni internazionali ci sono grandi interessi economici in lotta tra di loro; e saranno solo gli interessi economici delle grandi industrie, magari coincidenti con quelli commerciali a incidere eventualmente sul numero dei bambini lavoratori e stimolare una legislazione in questo senso.
Non possiamo credere a intenti umanitari quando Levi’s o altri si autoregolamentano perché si rivolgono a un mercato "sensibile".
Non possiamo credere a intenti umanitari quando si lega la lotta al lavoro minorile con quella all’analfabetismo; il fatto stesso che si sostenga la liceità del "child work" (lavoro sì, ma che lasci il tempo per studiare) dimostra la necessità per la moderna industria di una forza lavoro alfabetizzata e più qualificata. L’analfabetismo oggi riguarda un miliardo di persone al mondo.
Il destino di milioni di bambini sfruttati è segnato dalla competizione-complementarietà della piccola produzione, humus per lo sviluppo capitalistico, con la grande industria; leggi e convenzioni vengono di conseguenza.

S.G