Libro primo: Il processo di produzione del capitale
I Sezione: Merce e denaro.
CAPITOLO SECONDO
IL PROCESSO DI SCAMBIO
Le merci non possono andarsene da sole al mercato e non possono scambiarsi da sole. Dobbiamo dunque cercare i loro tutori, i possessori di merci. Le merci sono cose, quindi non possono resistere all'uomo. Se esse non sono ben disposte egli può usar la forza; in altre parole, può prenderle (37). Per riferire l'una all'altra queste cose come merci, i tutori delle merci debbono comportarsi l'uno di fronte all'altro come persone, la cui volontà risieda in quelle cose, cosicché l'uno si appropria la merce altrui, alienando la propria, soltanto con la volontà dell'altro; quindi, ognuno dei due compie quell'atto soltanto mediante un atto di volontà comune a entrambi. Quindi i possessori di merci debbono riconoscersi, reciprocamente, quali proprietari privati. Questo rapporto giuridico, la cui forma è il contratto, sia o no svolto in forme legali, è un rapporto di volontà nel quale si rispecchia il rapporto economico. Il contenuto di tale rapporto giuridico ossia di volontà è dato mediante il rapporto economico stesso(38). Le persone esistono qui l'una per l'altra soltanto come
37. Nel
XII secolo, tanto acclamato per la sua devozione, fra queste merci si trovano spesso cose
delicatissime. Così un poeta francese di quel tempo enumera fra le merci che si
ritrovavano al mercato di Landit, fra drappi per vestiti, scarpe, cuoio, attrezzi
agricoli, pelli ecc., anche «femmes folles de leur corps ».
38. Il Proudhon comincia con l'attingere il suo ideale
della giustizia, la iustice éternelle, dai rapporti giuridici corrispondenti
alla produzione delle merci, con il che, sia detto di passata, vien fornita anche la
dimostrazione, così consolante per tutti i borghesucci, che la forma della produzione
delle merci è eterna come la giustizia. Poi, viceversa, vuole rimodelIare la produzione
reale delle merci e il diritto reale ad essa corrispondente in conformità di
quell'ideale. Che cosa si penserebbe d'un chimico che invece di studiare le leggi reali
del ricambio organico, e di risolvere determinati problerni sulla base di esse, volesse
rimodellare il ricambio organico per mezzo delle « idee eterne » della naturalité
e della affinité? Quando si dice che ### l'usura contraddice alla justice
éternelle ed ad altre vérités éternelles, si sa forse su di essa qualcosa di più di
quel che ne sapessero i Padri della Chiesa, quando dicevano che essa contraddiceva alla
gráce éternelle, alla foi éternelle, alla volonté éternelle de Dieu?
rappresentanti di merce, quindi come possessori di merci. Troveremo in generale, man mano che la nostra esposizione
procederà, che le maschere caratteristiche economiche delle persone sono soltanto le
personificazioni di quei rapporti economici, come depositari dei quali esse si trovano
l'una di fronte all'altra.
Ciò che distingue in particolare
il possessore di merci dalla merce, è la circostanza che ogni altro corpo di merce appare
alla merce stessa soltanto come forma fenomenica del suo proprio valore. Cinica e
livellatrice dalla nascita, la merce è quindi sempre pronta a fare scambio non solo
dell'anima ma anche del corpo con qualunque altra merce, sia pur questa fornita di
sgradevolezze ancor più di Maritorne. Il possessore di merci integra coi suoi cinque e
più sensi questa insensibilità della merce per la concretezza del corpo delle
merci. La sua merce non ha per lui nessun valore d'uso immediato. Altrimenti non la
porterebbe al mercato. Essa ha valore d'uso per altri. Per lui, immediatamente,
essa ha soltanto il valore d'uso d'essere depositaria di valore di scambio, e così
d'essere mezzo di scambio (39). Perciò egli la vuole
alienare per merci il cui valore d'uso gli procuri soddisfazione. Tutte le merci sono pei
loro possessori valori non d'uso, e pei loro non-possessori valori d'uso. Quindi
debbono cambiar di mano da ogni parte. Ma questo cambiamento di mano costituisce il loro
scambio, e il loro scambio le riferisce l'una all'altra come valori, e le realizza come
valori. Dunque, le merci debbono realizzarsi come valori, prima di potersi
realizzare come valori d'uso.
D'altra parte, le merci debbono dar prova di sé come valori d’uso, prima di potersi realizzare come valori. Poiché il lavoro umano speso in esse conta soltanto in quanto è speso in forma utile per altri.
Ma solo il suo scambio può dimostrare se esso è utile ad altri e quindi se il suo
prodotto soddisfa bisogni di altre persone.
39. « Ogni bene ha infatti due usi... l'uno proprio alla cosa, l'altro no; per esempio, una calzatura serve a calzarsi, ma anche a fare uno scambio. E ambedue infatti sono usi della calzatura. Poiché chi scambia per denaro o per alimenti una calzatura, si vale della calzatura in quanto calzatura. ma non per il suo uso specifico; poiché la calzatura non è fatta per lo scambio » (ARISTOTELE, De Republica, libro 1, cap. 9, [traduz. V. Costanzi]).
>Ogni possessore di merci vuole
alienare la sua merce soltanto contro altra merce, il cui valore d'uso soddisfi il
suo bisogno. Fin qui lo scambio è per lui soltanto processo individuale. D'altra
parte, egli vuole realizzare la sua merce come valore, cioè la vuol realizzare in
ogni altra merce dello stesso valore, a scelta, sia che la sua propria merce
abbia o non abbia valore d'uso per il possessore dell'altra merce. Fin qui lo
scambio è per lui processo generalmente sociale. Ma lo stesso processo non può
essere contemporaneamente e per tutti i possessori di merci solo individuale e insieme
solo generalmente sociale.
Se guardiamo più da vicino, per
ogni possessore di merci la merce altrui conta come equivalente particolare della
propria merce, e quindi la sua merce conta per lui come equivalente generale di
tutte le altre merci. Ma poiché tutti i possessori di merci fanno la stessa cosa,
nessuna merce è equivalente generale, e quindi le merci non posseggono neanche una forma
relativa generale di valore, nella quale si equiparino come valori e si mettano a paragone
come grandezze di valore. Quindi esse non si trovano l'una di fronte all'altra come merci,
ma soltanto come prodotti ossia valori d'uso.
Nel loro imbarazzo, i nostri
possessori di merci pensano come Faust. All'inizio era l'azione. Ecco che hanno
agito ancor prima di aver pensato. Le leggi della natura delle merci hanno già agito
nell'istinto naturale dei possessori di merci. Costoro possono riferire le loro merci
l'una all'altra come valori, e quindi come merci, soltanto riferendole per opposizione,
oggettivamente, a qualsiasi altra merce quale equivalente generale. Questo è.
il risultato dell'analisi della merce. Ma soltanto l'azione sociale può
fare d'una merce determinata l'equivalente generale. Quindi l'azione sociale
di tutte le merci esclude una merce determinata, nella quale le altre rappresentino
universalmente i loro valori. Così la forma naturale di questa merce diventa forma di
equivalente socialmente valida. Mediante il processo sociale, l'esser equivalente
generale diventa funzione sociale specifica della merce esclusa. Così
essa diventa - denaro. « Costoro hanno un medesimo consiglio; e daranno la
lor potenza e podestà alla bestia. E che niuno potesse comperare o vendere, se non chi
avesse il carattere o il nome della bestia, o il numero del suo nome ». (Apocalisse).
La cristallizzazione «denaro» è un prodotto necessario del processo di scambio, nel quale
prodotti di lavoro di tipo differente vengono di fatto equiparati e quindi trasformati di
fatto in merci
L’estensione e l'approfondimento storico dello scambio dispiega l'opposizione latente fra valore d'uso e
valore dormiente nella natura della merce. Il bisogno di dare, per gli scopi del
commercio. una presentazione esterna di tale opposizione, spinge verso una forma
indipendente del valore delle merci; e non s'acquieta e non posa fino a che tale forma non
è definitivamente raggiunta mediante lo sdoppiamento della merce in merce
e denaro. Quindi, la trasformazione della merce in denaro si compie nella
stessa misura della trasformazione dei prodotti del lavoro in merci (40).
Lo scambio immediato dei
prodotti per una parte ha la forma dell'espressione semplice di valore, per l'altra
parte non l'ha ancora. Quella forma era: x merce A = y merce B. La forma dello scambio
immediato dei prodotti è: x oggetto d'uso A = y oggetto d'uso B (41). Le cose A e B qui non sono merci prima dello scambio, ma
diventano tali soltanto attraverso di esso. Per un oggetto d'uso la prima maniera
d'essere, virtualmente, valore di scambio, è, la sua esistenza come non-valore d'uso, come
quantità di valore d'uso eccedente i bisogni immediati del suo possessore. Le cose, prese
in sé e per sé, sono estranee all'uomo, e quindi alienabili. Affinché tale
alienazione sia reciproca, gli uomini hanno bisogno solo di comportarsi tacitamente come
proprietari privati di quelle cose alienabili, e proprio perciò affrontarsi come persone
indipendenti l’una dall'altra. Tuttavia tale rapporto di reciproca estraneità non
esiste per i membri di una comunità naturale originaria, abbia essa forma di famiglia
patriarcale, di comunità paleoindiana, di Stato degli Incas, ecc. Lo scambio di merci
comincia dove finiscono le comunità, ai loro punti di contatto con comunità estranee, o
con membri di comunità estranee. Ma, una volta le cose divenute merci nella vita esterna
della comunità, esse diventano tali per reazione anche nella vita interna di essa. In un
primo momento il loro rapporto quantitativo di scambio è completamente casuale.
Sono scambiabili per l'atto
40. Da questo si giudichi la finezza del socialismo piccolo-borghese, il quale vuole eternare la produzione delle merci e insieme vuole abolire o «l'antagonismo
fra la merce e il denaro », cioè il denaro stesso, poiché il denaro esiste solo in
questo antagonismo. Sarebbe come abolire il papa e lasciar sussistere il cattolicesimo. 1
particolari si vedano nel mio scritto Zur Kritik cit., p. 61 sgg.
41. Anche lo scambio immediato dei prodotti
sta soltanto nel proprio vestibolo, finché non vengono ancora scambiati due differenti
oggetti d'uso, ma si offre una massa caotica di cose come equivalente per una terza cosa,
come spesso si verifica presso i selvaggi.
di volontà dei loro possessori,
di alienarsele reciprocamente. Intanto, il bisogno di oggetti d'uso altrui si
consolida a poco a poco. La continua ripetizione dello scambio fa di quest'ultimo un
processo sociale regolare. Quindi nel corso del tempo per lo meno una parte dei prodotti
del lavoro dev'essere prodotta con l'intenzione di farne scambio. Da questo momento in poi
si consolida, da una parte, la separazione fra l'utilità delle cose per il bisogno
immediato e la loro utilità per lo scambio. Il loro valore d'uso si separa dal loro
valore di scambio. Dall'altra parte il rapporto quantitativo secondo il quale esse vengono
scambiate diventa dipendente dalla loro produzione. L'abitudine le fissa come grandezze
di valore.
Nello scambio immediato dei
prodotti ogni merce è mezzo di scambio, immediatamente, per il suo possessore, ed
equivalente per chi non la possiede, tuttavia solo in quanto è valore d'uso per
quest'ultimo. L'articolo di scambio non riceve dunque ancora una forma di valore
indipendente dal suo proprio valore di uso o dal bisogno individuale di coloro che
compiono lo scambio. La necessità di questa forma si sviluppa col crescere del numero e
della varietà delle merci che entrano nel processo di scambio. Il problema sorge
contemporaneamente ai mezzi per risolverlo. Un commercio nel quale possessori di merci si
scambino e confrontino i propri articoli con differenti altri articoli, non ha mai luogo
senza che merci differenti siano scambiate e confrontate come valori da differenti
possessori di merci, nell'ambito del loro commercio, con uno stesso e medesimo terzo
genere di merci. Tale terza merce, diventando equivalente di varie altre
merci, riceve immediatamente, seppure entro stretti limiti, la forma generale o sociale di
equivalente. Questa forma generale di equivalente nasce e finisce col contatto sociale
momentaneo che l'ha chiamata in vita, e tocca fuggevolmente e alternativamente a questa o
a quella merce. Ma con lo svilupparsi dello scambio delle merci, essa aderisce saldamente
ed esclusivamente a particolari generi di merce, ossia si cristallizza in forma
di denaro. Da principio, è casuale che essa aderisca a questo o a quel genere di
merci. Ma, nell'insieme, due circostanze sono quelle decisive. La forma di denaro aderisce
o ai più importanti articoli di baratto dall'estero, che di fatto sono forme
fenomeniche naturali e originarie del valore di scambio dei prodotti indigeni; oppure all'oggetto
d'uso che costituisce l'elemento principale del possesso alienabile indigeno, come p. es.,
il be-
stiame. I popoli nomadi
sviluppano per primi la forma di denaro, poiché tutti i loro beni si trovano in forma mobile,
quindi immediatamente scambiabile, e perché il loro genere di vita li porta continuamente
a contatto con comunità straniere, e quindi li sollecita allo scambio dei prodotti. Gli
uomini hanno spesso fatto dell'uomo stesso, nella figura dello schiavo, il materiale
originario del denaro, ma non lo hanno fatto mai della terra. Questa idea poteva
affiorare soltanto in una società borghese già perfezionata: essa data dall'ultimo
trentennio del XVII secolo e la sua attuazione su scala nazionale venne tentata soltanto
un secolo più tardi nella rivoluzione borghese dei francesi.
La forma di denaro passa a merci
che per natura sono adatte alla funzione sociale di equivalente generale, ai metalli
nobili, nella stessa misura che lo scambio di merci fa saltare i suoi vincoli meramente
locali, e quindi che il valore delle merci si amplia a materializzazione del lavoro
umano in genere.
Ora, la congruenza delle loro
qualità naturali con la funzione del denaro (42) mostra
che « benché oro e argento non siano naturalmente denaro, il denaro è naturalmente oro
e argento » (43). Ma finora noi conosciamo soltanto quest'una
funzione del denaro, di servire come forma fenomenica del valore delle merci, ossia
come il materiale nel quale si esprimono socialmente le grandezze di valore delle
merci. Forma fenomenica adeguata di valore, o materializzazione di lavoro umano astratto e
quindi eguale, può essere soltanto una materia, tutti gli esemplari della quale
posseggano la stessa uniforme qualità. D'altra parte, poiché la differenza della
grandezza di valore è puramente quantitativa, la merce-denaro dev'essere
suscettibile di differenze meramente quantitative, cioè dev'essere divisibile ad
arbitrio, e dev'essere ricomponibile, riunendone le parti. E l'oro e l'argento posseggono
per natura queste proprietà.
Il valore d'uso della
merce-denaro si raddoppia. Accanto al suo valore d'uso particolare come
merce - come p. es. l'oro serve per otturare denti cariati, e quale materia prima per
articoli di lusso, ecc. - essa riceve un valore d'uso formale, che sorge dalle sue
funzioni sociali specifiche.
Poiché tutte le altre merci sono soltanto equivalenti parti-
42. K. MARX, Zur Kritik cit., p. 135. « 1 metalli preziosi sono naturalmente
moneta » (GALIANI, Della Moneta, nella raccolta Custodi, parte moderna, vol. III,
p. 72).
43. Altri particolari nel mio scritto
or ora citato, sez. I metalli preziosi.
colari del denaro e il denaro è il loro equivalente generale, esse si comportano come merci particolari nei
confronti del denaro come merce universale (44).
S'è visto che la forma di denaro è soltanto il riflesso delle relazioni di tutte le altre merci
che aderisce saldamente ad una merce. Che l'oro sia merce (45)
costituisce dunque una scoperta soltanto per colui che parte dalla sua figura
compiuta per analizzarla a posteriori. Il processo di scambio non dà alla merce che esso
trasforma in denaro, il suo valore, ma la sua forma specifica di valore. La
confusione fra le due determinazioni ha indotto a ritenere immaginario il valore
dell'oro e dell'argento (46). E poiché la moneta in certe
sue determinate funzioni può essere sostituita con semplici segni di se
stessa, è sorto l'altro errore ch'essa sia un semplice segno. D'altra
parte, in tutto ciò c'era l'intuizione che la forma di denaro della cosa le sia esterna,
e sia pura forma fenomenica di rapporti umani nascosti dietro di essa. In
questo senso, ogni merce sarebbe un segno, poiché, come valore, sarebbe soltanto l'involucro
materiale del lavoro umano speso per
44. « Il danaro è la merce universale » (VERRI, Meditazioni
sulla economia politica, p. 16).
45. L'oro e l'argento stessi che noi possiamo
designare col nome generale di metallo nobile, sono... merci... che...
crescono e calano... di valore. Allora si può calcolare che il metallo prezioso è di un
valore superiore quando per un minor peso di esso si può ottenere una maggior quantità
del prodotto o dei manufatti del paese, ecc. (A discourse on the general notions of
money, trade and exchange as they stand in relations to each other. By a merchant.
Londra, 1695, p. 7). « Oro e argento, monetati o non monetati, vengono sì usati come
misura di tutte le altre cose, ma non di meno sono una merce, come vino, olio.
tabacco, panno o stoffe » (A discourse concerning trade. and that in particular o/ the
East Indies ecc., Londra, 1869, p. 2 ' i. « Il patrimonio e le ricchezze del reame
non possono essere limitati al denaro, né oro e argento dovrebbero essere esclusi
dall'esser merci. (The East India trade a most profitable trade. Londra, 1677, p.
4).
46. « L'oro e l'argento hanno valore come
metalli anteriore all'esser moneta » (GALIANI, Della Moneta, p. 72). Il Locke
dice: « Il consenso universale dell'umanità ha dato all'argento, per causa delle sue
qualità che lo rendono adatto a essere denaro, un valore immaginario ». Invece il
Law: « Non saprei concepire come differenti nazioni potrebbero dare a una qualsiasi cosa
un valore immaginario... o come si sarebbe potuto mantenere questo valore immaginario? ».
Ma quanto poco ne capiva, proprio lui! « L'argento si scambiava sulla base di quanto
veniva valutato per gli usi » cioè secondo il suo valore reale;
«dal suo uso come denaro... ricevette un valore addizionale » (JEAN LAW, Considérations
sur le numéraire et le commerce, nella edizione di E. Daire degli Economistes
financiers du XVIII siècle, p. [469] 470).
essa(47).
Ma dichiarando puri segni i caratteri sociali che ricevono gli oggetti, ossia i caratteri oggettivi,
che ricevono le determinazioni sociali del lavoro sulla base d'un
determinato modo di produzione, si dichiara contemporaneamente che essi sono il prodotto
arbitrario della riflessione dell'uomo. Questa era una maniera prediletta dell'illuminismo
del XVIII secolo per togliere, per lo meno provvisoriamente, la parvenza della stranezza a
quelle enigmatiche forme di rapporti umani, il processo genetico delle quali non
s’era ancora in grado di decifrare.
È stato osservato più sopra che
la forma di equivalente d'una merce non implica la determinazione quantitativa
della sua grandezza di valore. Se si sa che I'oro è denaro, e quindi è
immediatamente scambiabile con tutte le altre merci, non perciò si sa quanto valgono
p. es. dieci libbre d’oro. Come ogni merce, il denaro può esprimere la
propria grandezza di valore solo relativamente, in altre merci. II suo proprio
valore è determinato dal tempo di lavoro richiesto per la sua produzione e si esprime
nelle quantità di ogni altra merce nella quale si è coagulato al-
47. «L'argent en (des denrées) est le signe » (V. DE FORBONNAIS, E1éments du commerce, nuova edizione, Leida, 1766, vol. 11, p. 143). «Comme signe il est attiré par les denrées» (ivi, p. 155). « L’argent est un signe d'une chose et la represente » (MONTESQUIEU, Esprit des lois, Oeuvres, Londra, 1767, II, p. 2). «L'argent n'est pas simple signe, car il est lui-mime richesse; il ne represente pas les valeurs, il les équivaut » (LE TROSNE, De I'intérèt social, p. 910). «Se si considera il concetto di valore, la cosa stessa viene considerata soltanto come un segno, ed essa non conta per quel che essa è, ma per quel che vale » (HEGEL, Philosophie des Rechts, p. 100). Già molto tempo prima degli economisti, i giuristi avevano dato l’avvio alI'idea del denaro come puro segno e del valore semplicemente immaginario dei metalli preziosi; sono i loro bassi servizi al potere regio, il cui diritto di falsificar moneta costoro han fatto poggiare durante tutto il Medioevo sulle tradizioni dell'Impero romano e sui concetti monetari delle Pandette. Il loro docile scolaro Filippo di Valois in un decreto del 1346 dice: « Qu'aucun ne puisse ni doive faire doute, que à nous et à notre majesté royale n’appartiennent seulement... Le mestier, le fait, l’etat, la provision et toute 1'ordonnance des monnaies, d e d o n n e r t e l c o u r s , e t p o u r t e l p r i x c o m m e i l n o u s p l a i t e t b o n n o u s s e m b l e». Era dogma giuridico romano che l’imperatore decretava il valore del denaro. Era espressamente proibito trattare il denaro come merce: Pecunias vero nulli emere fas erit, nam, in usu publico constitutas oportet non esse mercem. Buone osservazioni su questo argomento in G. F. PAGNINI, Saggi sopra il giusto pregio delle cose, 1751, in Custodi, parte moderna, vol. II. Specialmente nella seconda parte del suo scritto il Pagnini polemizza contro i signori giuristi.
trettanto tempo di lavoro (48). Questa fissazione della sua grandezza relativa di valore
ha luogo alla sua fonte di produzione nel traffico immediato di scambio. Appena entra in
circolazione come denaro, il suo valore è già dato. Se già negli
ultimi decenni del XVIII secolo il sapere che il denaro è merce costituiva un
inizio di gran lunga sorpassato dell'analisi del denaro - si trattava però soltanto d'un
inizio. La difficoltà non sta nel capire che il denaro merce, ma nel capire come,
perché, per qual via una merce denaro (49).
Abbiamo visto come già nella
più semplice espressione di valore, x merce A = y merce B, la cosa, nella quale viene
rappresentata la grandezza di valore d'un'altra cosa, sembra possedere come qualità sociale
di natura la propria forma di equivalente, indipendentemente da tale rapporto. Noi
abbiamo seguito il consolidarsi di questa erronea parvenza. Questo consolidamento è
completato, appena la forma generale di equivalente finisce con il connaturarsi alla forma
naturale d'un particolare genere di merce, ossia è cristallizzata nella forma di denaro.
Non sembra che una merce diventi denaro soltanto perché le altre merci rappresentano in
essa, da tutti i lati, i loro valori, ma viceversa, sembra che le altre merci
rappresentino ge-
48. «Se un uomo può portare un'oncia di argento dal sottosuolo del
Perù a Londra nello stesso tempo che adoprerebbe per la produzione di un bushel di
grano, allora l’una è il prezzo naturale del secondo; se poi, a causa di miniere
nuove o più facili da sfruttare, un uorno può ottenere due once di argento con la stessa
facilità di prima per una, il grano sarà, a un prezzo di dieci scellini al bushel, allo
stesso buon mercato di prima a cinque, caeteris paribus )» (WILLIAM P., A
treatise of taxes and contributions, Londra, 1667, p. 31).
49. 11 professor Roscher, dopo averci
ammaestrato: «Le definizioni false del denaro si possono dividere in due gruppi
principali: quelle che lo ritengono qualcosa di più, c quelle che lo ritengono
qualcosa di meno di una merce », fa seguire un variopinto catalogo di scritti
sulla natura del denaro dal quale non traspare neppure una remotissima cognizione delta
reale storia della teoria, e infine la morale: « Del resto non si può negare che la
maggior parte degli economisti moderni non han tenuto sufficiente conto
delle peculiarità che distinguono il denaro da altre merci (dunque, insomma, più
o meno che merce?)... Fino a questo punto, la reazione semimercantilistica del
Ganilh... non è del tutto infondata » (WILHELM ROSCHER, Die Grundlagen der
Nationaloekonomie, 3. ed., 1858, pp. 207-210). Più - meno - non abbastanza - fino a
questo punto - non del tutto! Che determinazioni concettuali! E dire che il signor Roscher
battezza modestamente con il none di « metodo anatomico-fisiologico » della economia
politica queste eclettiche chiacchiere professorali! Tuttavia, una scoperta gli è dovuta:
cioè che il denaro è «una merce piacevole ».
neralmente in quella i loro valori, perché essa è denaro. Il movimento mediatore scompare nel proprio risultato senza lasciar traccia. Le merci trovano la loro propria figura di valore davanti a sé belle pronta, senza che esse c'entrino, come un corpo di merce esistente fuori di esse e accanto a loro. Queste cose che sono l’oro e l’argento, come emergono dalle viscere della terra, sono subito l’incarnazione immediata di ogni lavoro umano. Di qui la magia del denaro. Il contegno degli uomini, puramente atomistico nel loro processo sociale di produzione, e quindi la figura materiale dei loro propri rapporti di produzione, indipendente dal loro controllo e dal loro consapevole agire individuale, si mostrano in primo luogo nel fatto che i prodotti del loro lavoro assumono generalmente la forma di merci. Quindi l’enigma del feticcio denaro è soltanto l’enigma del feticcio merce divenuto visibile e che abbaglia l'occhio.