Lev Trotsky
LA NATURA DI CLASSE
DELLO STATO SOVIETICO(1)
(10 ottobre 1933)
La rottura con l'Internazionale Comunista(2) e l'orientamento
verso la nuova Internazionale hanno nuovamente sollevato il problema
del carattere sociale dell'URSS. Il collasso dell'Internazionale Comunista non significa anche, nello stesso tempo, il crollo dello stato
emerso dalla Rivoluzione d'Ottobre? In entrambi i casi, infatti, si
tratta di uno stesso organismo dirigente: l'apparato staliniano. Esso
ha applicato gli stessi metodi sia all'interno dell'URSS che
nell'arena mondiale. Noi marxisti non abbiamo mai difeso il sistema di
doppia contabilità dei brandleriani(3), secondo il quale la politica
degli stalinisti sarebbe irreprensibile in URSS ma disastrosa al di
fuori delle sue frontiere(a). E' nostra convinzione che essa sia
ugualmente rovinosa in entrambi i casi. Se questo è vero, non è forse
allora necessario riconoscere il collasso dell'Internazionale Comunista e nel contempo la liquidazione della dittatura proletaria in URSS?
A prima vista un simile ragionamento sembrerebbe essere irrefutabile. Ma è sbagliato. Anche se i metodi della burocrazia staliniana
sono omogenei in tutti i settori, i risultati oggettivi di tali metodi
dipendono dalle condizioni esterne o, per utilizzare il linguaggio
della meccanica, dalla resistenza dei materiali. L'Internazionale Comunista era uno strumento destinato a rovesciare il sistema capitalistico e ad instaurare la dittatura del proletariato. Lo stato sovie-
[a] I dotti brandleriani americani (il gruppo di Lovestone(4) ) complicano ulteriormente la questione: la politica economica degli stalinisti, vi piaccia o meno, è inappuntabile, ma il regime politico dell'URSS è pessimo -- non c'è democrazia. A questi teorici non accade mai di chiedersi perché Stalin liquidi la democrazia se la sua politica economica è giusta e passa da un successo all'altro. Non è forse per timore che, se esistesse la democrazia proletaria, il partito e la classe operaia esprimerebbero in modo fin troppo irrequieto e violento il loro entusiasmo per tale politica economica? [Nota di Lev Trotsky.]
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tico è uno strumento per salvaguardare le conquiste di un rivolgimento già compiuto.
I partiti comunisti occidentali non hanno ereditato alcun capitale. La loro forza (in realtà, la loro debolezza)
risiede in loro stessi, e soltanto in loro stessi. I nove decimi della forza dell'apparato staliniano risiedono
non in esso stesso, bensì nei mutamenti sociali realizzati dalla rivoluzione vittoriosa. Questa considerazione,
di per sé, non risolve certo la questione, ma riveste comunque una grande importanza metodologica. Essa ci mostra
come e perché l'apparato staliniano abbia potuto perdere definitivamente la propria autorità in quanto fattore
rivoluzionario internazionale pur mantenendo parte del suo significato progressivo in quanto custode delle conquiste
sociali della rivoluzione proletaria. Questa duplice posizione -- potremmo aggiungere -- costituisce di per sé
una delle manifestazioni dello sviluppo diseguale della storia.
La politica giusta di uno stato operaio non è riducibile unicamente all'edificazione economica nazionale. Se la rivoluzione non si estende nell'arena internazionale seguendo una spirale proletaria, essa incomincerà inevitabilmente a contrarsi seguendo una spirale burocratica entro il quadro nazionale. Se la dittatura del proletariato non diventa europea e mondiale, essa andrà incontro al collasso. Tutto questo è assolutamente incontestabile in un'ampia prospettiva storica. Ma tutto ruota attorno a fasi storiche concrete. Si può dire che la politica della burocrazia staliniana abbia già portato alla liquidazione dello stato operaio? Oggi il problema è tutto qui.
All'affermazione secondo cui lo stato operaio sarebbe chiaramente già stato liquidato si contrappone, prima di tutto, la posizione metodologica fondamentale del marxismo. La dittatura del proletariato venne instaurata attraverso un rivolgimento politico e tre anni di guerra civile. La teoria classista della società e l'esperienza storica testimoniano allo stesso modo l'impossibilità della vittoria del proletariato con metodi pacifici, cioè senza grandiose battaglie di classe, armi alla mano. In tal caso, come sarebbe concepibile una controrivoluzione borghese impercettibile e «graduale»? Fino ad ora, in ogni caso, le controrivoluzioni feudali e quelle borghesi non si sono mai prodotte «organicamente», ma hanno invariabilmente richiesto l'intervento della chirurgia militare. In ultima analisi le teorie del riformismo(5), nella misura in cui il riformismo in generale si è elevato fino alla teoria, si basano sempre sull'incapacità di capire quanto gli antagonismi di classe siano profondi ed irreconciliabili; di qui la prospettiva di una trasformazione pacifica del capitalismo in socialismo. La tesi marxista relativa al carattere catastrofico del passaggio del potere dalle mani di una classe a quelle di un'altra si applica non soltanto ai periodi rivoluzionari, allorché la storia si spinge furiosamente in avanti, ma anche ai periodi di controrivoluzione, quando la società compie dei passi indietro. Chiunque affermi che lo stato sovietico si è gradualmente trasformato da proletario in borghese non fa che far scorrere in senso inverso, per così dire, la pellicola del riformismo.
I nostri avversari possono negare che questa sia un'affermazione metodologica generale e dichiarare che, per quanto importante in sé, essa è comunque troppo astratta per risolvere il problema. La verità è sempre concreta. La tesi dell'inconciliabilità delle contraddizioni di classe può e deve guidarci nella nostra analisi, ma non può sostituirne i risultati. Occorre indagare a fondo il contenuto materiale del processo storico stesso.
Noi rispondiamo: è vero che un argomento metodologico non esaurisce il problema. Ma, in ogni caso, esso trasferisce l'onere della prova alla parte avversa. I nostri critici che si considerano marxisti debbono dimostrare in che modo la borghesia, la quale ha perduto il potere dopo una lotta di tre anni, può riconquistarlo senza alcuna lotta. Ma dal momento che i nostri avversari non compiono nessun tentativo di dare un'espressione teorica seria alla loro valutazione dello stato sovietico, noi cercheremo in questa sede di compiere tale lavoro al posto loro.
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La «dittatura sul proletariato»
L'argomento più diffuso, più popolare e, a prima vista, più irrefutabile a favore del carattere non proletario dello stato sovietico attuale si basa sul riferimento allo strangolamento delle libertà delle organizzazioni proletarie e sull'onnipotenza della burocrazia. E' davvero possibile identificare la dittatura di un apparato, che ha portato alla dittatura di una singola persona, con la dittatura del proletariato in quanto classe? Non è chiaro che la dittatura sul proletariato esclude la dittatura del proletariato?
Questo affascinante ragionamento non si basa su di una analisi materialistica del processo così come esso si sviluppa nella realtà, bensì su schemi idealistici puri, su norme kantiane (6). Alcuni nobili «amici» della rivoluzione si erano fatti un'idea assai sfavillante della dittatura del proletariato e sono caduti nella più completa prostrazione di fronte al fatto che la dittatura reale, con tutta la sua eredità di barbarie classista, con tutte le sue contraddizioni interne, con gli errori ed i crimini della direzione, non somiglia affatto all'idea brillante che se ne erano fatti. Disillusi nelle loro emozioni più belle, essi voltano le spalle all'Unione Sovietica.
Dove ed in quali libri si può trovare una ricetta infallibile per la dittatura proletaria? La dittatura di una classe non significa affatto che tutta la sua massa partecipi sempre alla direzione dello stato. Lo abbiamo visto, innanzitutto, nel caso delle classi possidenti. La nobiltà ha dominato attraverso la monarchia, di fronte alla quale il nobile si inginocchiava. La dittatura della borghesia ha assunto forme democratiche relativamente sviluppate soltanto nelle condizioni dell'ascesa del capitalismo, quando la classe dominante non aveva nulla da temere. In Germania la democrazia è stata soppiantata sotto i nostri occhi dall'autocrazia hitleriana, e tutti i partiti borghesi tradizionali sono stati ridotti in frantumi. Oggi la borghesia tedesca non governa direttamente; politicamente parlando, essa è completamente sottomessa a Hitler ed alle sue squadracce. Tuttavia in Germania la dittatura della borghesia permane inalterata dal momento che tutte le condizioni della sua egemonia sociale sono state mantenute e rafforzate. Espropriando politicamente la borghesia, Hitler l'ha salvata, anche se soltanto temporaneamente, dall'esproprio economico. Il fatto che la borghesia si sia vista costretta a ricorrere al regime fascista testimonia che il suo dominio era in pericolo, ma nient'affatto che essa sia crollata.
Anticipando i nostri argomenti successivi, i nostri avversari si affretteranno ad obiettare: sebbene la borghesia, in quanto minoranza sfruttatrice, possa mantenere la propria egemonia anche mediante una dittatura fascista, il proletariato che sta edificando una società socialista deve dirigere da sé il proprio stato, coinvolgendo direttamente masse popolari sempre più ampie negli affari di governo. Nella sua forma generale, questo argomento è assolutamente indiscutibile ma, in questo caso determinato, esso significa soltanto che la dittatura sovietica attuale è una dittatura malata. Le spaventose difficoltà dell'edificazione socialista in un paese isolato ed arretrato, unite alla politica erronea della direzione -- che, in ultima analisi, riflette anch'essa la pressione dell'arretratezza e dell'isolamento --, hanno portato al seguente risultato: la burocrazia ha espropriato politicamente il proletariato allo scopo di mantenere con i propri metodi le conquiste sociali di quest'ultimo. L'anatomia della società è determinata dai suoi rapporti economici. Fintantoché le forme di proprietà create dalla Rivoluzione d'ottobre non vengono rovesciate, il proletariato continua ad essere la classe dominante.
Le disquisizioni a proposito della «dittatura della burocrazia sul proletariato», in mancanza di una analisi più profonda, cioè senza una
chiara definizione delle radici sociali e dei limiti di classe del dominio burocratico, si riducono semplicemente a quelle ampollose frasi
democratiche che sono tanto popolari tra i menscevichi. Non può esserci dubbio che la stragrande maggioranza degli operai sovietici è scontenta della burocrazia e che un loro settore considerevole, e
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nient'affatto il peggiore, la odia. Tuttavia il fatto che tale malcontento non assuma forme violente di massa non è dovuto unicamente alla repressione; gli operai temono che, abbattendo la burocrazia, venga sgombrato il campo al nemico di classe. I rapporti tra la burocrazia e la classe sono in realtà assai più complessi di quanto immaginino i frivoli «democratici». Gli operai sovietici avrebbero già fatto i conti con il dispotismo dell'apparato se di fronte a loro si fossero aperte altre prospettive, se all'orizzonte occidentale si fosse acceso il colore rosso della rivoluzione e non quello bruno del fascismo. Finché ciò non accade, il proletariato sopporterà («tollererà») a denti stretti la burocrazia e, in questo senso, riconoscerà in essa la portatrice della dittatura proletaria. In una conversazione fatta con il cuore in mano, nessun operaio sovietico risparmierà parole pesanti all'indirizzo della burocrazia staliniana. Ma nessuno di loro ammetterà che la controrivoluzione abbia già avuto luogo. Il proletariato costituisce la colonna vertebrale dello stato sovietico. Tuttavia, nella misura in cui le funzioni di governo sono concentrate nelle mani di una burocrazia irresponsabile, ci troviamo di fronte ad uno stato chiaramente malato. Può essere guarito? Degli ulteriori tentativi di curarlo non equivarranno forse a sprecare inutilmente del tempo prezioso? La domanda è mal formulata. Per cura, noi non intendiamo ogni sorta di provvedimenti artificiali, distinti e separati dal movimento rivoluzionario mondiale, bensì la continuazione della lotta sotto la bandiera del marxismo. Una critica spietata della burocrazia staliniana, l'educazione dei quadri di una nuova Internazionale, la rivitalizzazione della capacità di lottare dell'avanguardia proletaria mondiale: questa è l'essenza della «cura». Essa coincide con l'indirizzo fondamentale del progresso storico.
Nel corso degli ultimi anni -- sia detto di passata -- i nostri avversari ci hanno detto più di una volta che stiamo «perdendo tempo inutilmente» nel cercare di curare il Comintern. Noi non abbiamo mai promesso a nessuno che guariremo il Comintern. Ci siamo soltanto rifiutati di dichiarare che l'ammalato è morto o incurabile finché non venga effettuata una verifica definitiva. In ogni caso, non abbiamo perso un sol giorno a «curarlo». Abbiamo formato dei quadri rivoluzionari e, ciò che è non meno importante, abbiamo predisposto le posizioni teoriche e programmatiche fondamentali della nuova Internazionale.
La dittatura del proletariato in quanto norma idealistica
I signori sociologi «kantiani» (chiediamo scusa allo spirito di Kant) giungono spesso alla conclusione che una dittatura «autentica», cioè conforme alle loro norme ideali, è esistita soltanto nei giorni della Comune di Parigi(7) o - durante il primo periodo della Rivoluzione d'Ottobre, fino alla pace di Brest-Litovsk(8), oppure, nel migliore dei casi, fino alla NEP(9). Il che è davvero sorprendente: è come puntare il proprio fucile a casaccio e colpire il centro del bersaglio! Se Marx ed Engels definirono la Comune di Parigi come una «dittatura del proletariato», fu unicamente in virtù delle potenzialità che essa racchiudeva. Ma di per sé la Comune non era ancora la dittatura del proletariato. Dopo essersi impadronita del potere, essa seppe a malapena farne uso; invece di assumere l'offensiva, attese; rimase isolata entro la cinta di Parigi; non osò toccare la Banca di Stato; non portò a termine, e in verità non poteva portare a termine, la rivoluzione nei rapporti di proprietà, poiché non deteneva il potere su scala nazionale. A ciò si debbono aggiungere l'unilateralità blanquista(10) ed i pregiudizi proudhoniani(11), che impedirono persino ai dirigenti del movimento di concepire pienamente la Comune come dittatura del proletariato(12). Il riferimento al primo periodo della Rivoluzione d'Ottobre non è meno infelice. Non soltanto fino alla pace di Brest-Litovsk, ma addirittura fino all'autunno del 1918, il contenuto sociale della rivoluzione si limitò ad un rivolgimento agrario piccolo-borghese ed al controllo operaio della produzione. Questo significa che la rivoluzione,
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con le sue azioni, non aveva ancora oltrepassato le frontiere della società borghese. Durante quella prima fase i soviet dei soldati dominarono a fianco dei soviet operai, e più di una volta li spinsero da parte. Soltanto verso l'autunno del 1918 l'ondata piccolo-borghese agraria dei contadini e dei soldati rientrò un po' entro i suoi argini e gli operai cominciarono a nazionalizzare i mezzi di produzione. Soltanto a partire da quel momento si può parlare dell'inizio di una vera dittatura del proletariato. Ma anche qui è necessario avanzare alcune grosse riserve. Nel corso di quegli anni iniziali, la dittatura fu geograficamente limitata al vecchio Principato di Mosca e fu costretta a condurre una guerra di tre anni lungo tutte le direttrici da Mosca alla periferia. Questo significa che fino al 1921, e cioè precisamente fino alla NEP, non si fece altro che condurre ancora la lotta per l'instaurazione della dittatura del proletariato su scala nazionale. E dal momento che, stando all'opinione dei filistei pseudomarxisti, la dittatura sarebbe scomparsa con l'avvio della NEP, ciò significa allora che, in generale, essa non sarebbe mai esistita. Per questi signori la dittatura del proletariato è semplicemente un concetto imponderabile, una norma ideale irrealizzabile su questa terra peccaminosa. C'è poco da meravigliarsi se i «teorici» di questo tipo, nella misura in cui non rinunciano del tutto alla parola «dittatura», si sforzano di annullare la contraddizione esistente tra essa e la democrazia borghese.
Estremamente caratteristica dal punto di vista sperimentale e non politico è la setta parigina dei «comunisti democratici» (Souvarine(13) e compagnia). Il loro stesso nome implica già una rottura con il marxismo. Nella sua Critica del programma di Gotha, Marx respinse il nome «socialdemocrazia» in considerazione del fatto che esso pone la lotta socialista rivoluzionaria sotto il controllo formale della democrazia(14). E' assolutamente evidente che non c'è alcuna differenza di principio tra i «comunisti democratici» ed i «socialisti democratici», cioè i socialdemocratici. Tra il comunismo e il socialismo non c'è nessun compartimento stagno. I guai incominciano soltanto allorché il socialismo e il comunismo, in quanto movimento o in quanto stato, vengono subordinati non alla marcia reale della lotta di classe, non alle condizioni materiali del processo storico, bensì all'astrazione sovrasociale e sovrastorica della «democrazia», che rappresenta in realtà un'arma di autodifesa della borghesia contro la dittatura proletaria. Se all'epoca del Programma di Gotha era ancora possibile vedere nel termine «socialdemocrazia» soltanto il nome impreciso e non scientifico di un partito «proletario il cui spirito era sano, tutta la storia successiva della democrazia borghese e «sociale» trasforma la bandiera del «comunismo (?) democratico» in vessillo di un tradimento di classe aperto(b).
Un avversario del tipo di Urbahns(15) affermerà che in realtà non c'è ancora stata alcuna restaurazione del regime borghese, ma anche che non c'è già più uno stato operaio: il regime sovietico attuale sarebbe uno stato bonapartista al di sopra delle classi o interclassista. A suo tempo abbiamo già fatto i conti con questa teoria. Storicamente parlando, il bonapartismo(16) è stato e resta un governo della borghesia durante i periodi di crisi della società borghese. Si può e si deve distinguere il bonapartismo «progressivo», che consolida le conquiste puramente capitalistiche della rivoluzione borghese, dal bonapartismo della decadenza della società capitalista, il bonapartismo convulso dei tempi nostri (von Papen(17), Schleicher(18), Dollfuss(19), il candidato al titolo di Bonaparte olandese Colijn(20), ecc.). Il bonapartismo implica sempre un barcamenarsi politico tra le
[b] Chiunque fosse interessato, ammesso che qualcuno lo sia, può andarsi a leggere la piattaforma dei «comunisti (?) democratici». Dal punto di vista dei fondamenti del marxismo, è difficile concepire un documento più ciarlatanesco. [Nota di Lev Trotsky.]
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classi; ma al di sotto del bonapartismo, in tutte le sue reincarnazioni storiche, si ritrova sempre una stessa ed unica base sociale: la proprietà borghese. Nulla è più assurdo del trarre, a partire dai barcamenamenti bonapartisti tra le classi o dalla posizione «al di sopra delle classi» della cricca bonapartista, la conclusione che lo stato bonapartista sia aclassista. Mostruoso nonsenso! Il bonapartismo non è che una delle varianti dell'egemonia capitalistica.
Se Urbahns vuole generalizzare il concetto di bonapartismo fino ad estenderlo anche al regime sovietico attuale, allora siamo disposti ad accettare una simile interpretazione allargata -- ma ad una condizione: che il contenuto sociale del «bonapartismo» sovietico venga definito con la necessaria chiarezza. E' assolutamente vero che l'assolutismo della burocrazia sovietica ha preso forma sulla base di un barcamenarsi tra le forze di classe, tanto quelle interne quanto quelle internazionali. Nella misura in cui il barcamenarsi burocratico è stato coronato dal regime plebiscitario personale di Stalin, si può parlare di bonapartismo sovietico. Ma mentre il bonapartismo dei due Bonaparte(21), come quello dei loro meschini discepoli attuali, si è sviluppato e si sviluppa sulla base del regime borghese, il bonapartismo della burocrazia sovietica ha sotto di sé il terreno di un regime proletario. Le innovazioni terminologiche o le analogie storiche possono essere in un modo o nell'altro vantaggiose dal punto di vista dell'analisi, ma non possono modificare la natura sociale dello stato sovietico.
Del resto, nell'ultimo periodo Urbahns ha creato una nuova teoria: la struttura economica sovietica sembra essere una varietà di «capitalismo di stato». Il «progresso» risiede nel fatto che, dagli esercizi terminologici nella sfera della sovrastruttura politica, Urbahns è disceso fino alla base economica. Ma questa discesa -- ahimé -- non gli ha giovato affatto.
Secondo Urbahns, il capitalismo di stato è la forma più recente di autodifesa del regime borghese: basti soltanto guardare allo stato corporativo «pianificato» in Italia, in Germania e negli Stati Uniti. Abituato ai gesti larghi, Urbahns vi include anche l'URSS. Ma di questo parleremo più avanti. Nella misura in cui il problema riguarda gli stati capitalistici, Urbahns si interessa di un fenomeno estremamente importante dei giorni nostri. Il capitalismo monopolistico ha da lungo tempo trasceso il quadro della proprietà privata dei mezzi di produzione ed i confini dello stato nazionale. Paralizzata dalle proprie organizzazioni, la classe operaia non è stata tuttavia in grado di liberare in tempo le forze produttive della società dalle pastoie capitalistiche. Da ciò deriva un'epoca prolungata di convulsioni economiche e politiche. Le forze produttive si scontrano con le barriere della proprietà privata e delle frontiere nazionali. I governi borghesi sono costretti a reprimere la rivolta delle proprie forze produttive ricorrendo allo sfollagente poliziesco. Ecco in che cosa consiste la cosiddetta «economia pianificata». Nella misura in cui lo stato cerca di domare e di disciplinare l'anarchia capitalistica, esso può essere definito, condizionalmente, «capitalismo di stato».
Dobbiamo però ricordare che, originariamente, per capitalismo di stato i marxisti intendevano unicamente le imprese economiche indipendenti appartenenti allo stato. Quando i riformisti sognavano di vincere il capitalismo mediante la municipalizzazione o la statizzazione di un numero sempre maggiore di imprese di trasporto ed industriali, i marxisti erano soliti rispondere loro: questo non è socialismo, bensì capitalismo di stato. Ma in seguito questo concetto assunse un significato più ampio e cominciò ad essere applicato a tutte le forme di intervento statale nell'economia; i francesi utilizzano in tal senso il termine «étatisme».
Tuttavia Urbahns non si limita a spiegare i travagli del «capitalismo di stato», ma li valuta anche a modo suo. Nella misura in
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cui è possibile capirlo in generale, egli sostiene che il regime del «capitalismo di stato» è uno stadio necessario, e per di più progressivo, dello sviluppo della società, nello stesso senso in cui i trust rappresentano un progresso a paragone della frammentazione delle imprese. Un errore tanto fondamentale nella valutazione della pianificazione capitalistica basta da solo a sopprimere qualsiasi altro approccio.
Se all'epoca dell'ascesa del capitalismo, alla quale fu posto fine dalla guerra(22), era possibile considerare -- tenuto conto di determinate precondizioni politiche -- le diverse forme di statizzazione come dei fenomeni progressivi, cioè ritenere che il capitalismo di stato agisse in modo tale da guidare la società in avanti e facilitasse il lavoro economico futuro della dittatura proletaria, l'«economia pianificata» attuale deve essere vista come uno stadio completamente reazionario: il capitalismo di stato cerca di strappare l'economia alla divisione mondiale del lavoro, di adattare le forze produttive al letto di Procruste(23) dello stato nazionale, di ridurre artificialmente la produzione in alcuni settori e di creare altrettanto artificialmente altri settori attraverso enormi ed inutili spese. La politica economica dello stato attuale -- a cominciare dalle barriere doganali, sul modello di quelle dell'antica Cina, per poi finire con gli episodi di proibizione dell'uso di taluni macchinari nell'«economia pianificata» di Hitler -- raggiunge una regolamentazione instabile al prezzo di un declino dell'economia nazionale, dell'introduzione del caos nelle relazioni internazionali e di uno scardinamento totale del sistema monetario che sarà estremamente necessario alla pianificazione socialista. Il capitalismo di stato attuale non prepara e non facilita il lavoro futuro dello stato socialista ma, al contrario, crea per tale lavoro colossali difficoltà supplementari. Il proletariato si è lasciato sfuggire un certo numero di momenti opportuni per impadronirsi del potere. Con ciò esso ha creato le condizioni per la barbarie fascista in politica e, nella sfera economica, per l'opera distruttiva del «capitalismo di stato». Dopo la conquista del potere, il proletariato sarà costretto a pagare in termini economici i suoi errori politici.
Tuttavia quello che ci interessa più d'ogni altra cosa nel quadro del presente lavoro è il fatto che Urbahns cerca di presentare anche l'economia dell'URSS con il termine «capitalismo di stato». Nel farlo egli fa riferimento -- difficile a credersi! -- a Lenin. Questo riferimento può essere spiegato in un solo modo possibile: eterno inventore che crea una nuova teoria al mese, Urbahns non ha il tempo di leggere i libri ai quali si richiama. Lenin ha effettivamente applicato il termine «capitalismo di stato», non all'economia sovietica nel suo insieme, ma soltanto ad un certo settore di essa: alle concessioni straniere, alle società miste industriali e commerciali e, in parte, alle cooperative contadine, formate in larga misura dai kulaki(24), controllate dallo stato. Tutti questi elementi sono indiscutibilmente capitalistici, ma dal momento che sono sottoposti al controllo dello stato e funzionano addirittura come società miste con la sua partecipazione diretta, Lenin definì condizionalmente o, secondo la sua espressione, «tra virgolette», tali forme economiche come «capitalismo di stato». La valenza condizionale di questo termine dipendeva dal fatto che si trattava di uno stato proletario e non borghese; le virgolette dovevano sottolineare proprio questa differenza di non poco conto. Ma nella misura in cui lo stato proletario tollerava il capitale privato e gli permetteva, entro limiti ben precisi, di sfruttare gli operai, esso proteggeva sotto una delle sue ali dei rapporti borghesi. In questo senso strettamente circoscritto si poteva parlare di «capitalismo di stato».
Lenin utilizzò questo termine per la prima volta al momento del passaggio alla NEP, quando supponeva che le concessioni e le «società miste», cioè le imprese basate sull'unione del capitale statale con
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quello privato, avrebbero occupato un posto molto importante nell'economia sovietica a fianco dei trust e dei consorzi puramente statali. A differenza delle aziende capitaliste di stato -- vale a dire le concessioni, ecc. --, Lenin definì i trust.e i cartelli sovietici come «imprese di tipo conseguentemente socialista». Egli immaginò lo sviluppo ulteriore dell'economia sovietica, ed in particolare dell'industria, sotto forma di una concorrenza tra le imprese capitaliste di stato e quelle puramente statali(25).
Speriamo che adesso sia chiaro entro quali limiti Lenin utilizzasse questo termine, che ha indotto Urbahns in tentazione. Per completare la catastrofe teorica del dirigente del «Lenin(!)bund"(26) dobbiamo anche ricordare che, contrariamente alle aspettative originarie di Lenin, né le concessioni né le società miste hanno giocato un qualche ruolo degno di nota nello sviluppo dell'economia sovietica. Di queste imprese «capitaliste di stato» oggi non è rimasto assolutamente nulla. Al contrario i trust sovietici, la cui sorte sembrava essere tanto precaria agli albori della NEP, hanno sperimentato uno sviluppo formidabile negli anni che fecero seguito alla morte di Lenin. Se, quindi, si dovesse utilizzare la terminologia leniniana con coscienza e cognizione di causa, bisognerebbe dire che lo sviluppo economico sovietico ha completamente superato lo stadio del «capitalismo di stato» e si è sviluppato lungo il canale delle imprese «di tipo conseguentemente socialista».
Anche in questo caso dobbiamo però prevenire ogni possibile malinteso, e questa volta di segno completamente opposto. Lenin sceglieva le parole con cura. Egli non definiva i trust come imprese socialiste, come li etichettano oggi gli stalinisti, bensì come imprese «di tipo socialista». Sotto la penna di Lenin, questa sottile distinzione terminologica implicava che i trust avrebbero avuto il diritto di essere definiti socialisti -- non in senso tipologico, cioè tendenziale, ma in virtù del loro vero contenuto -- dopo che l'economia rurale fosse stata rivoluzionata, dopo che la contraddizione tra città e campagna fosse stata superata, dopo che gli uomini avessero imparato a soddisfare pienamente tutti i bisogni umani, in altre parole soltanto nella misura in cui una vera società socialista fosse sorta sulla base dell'industria nazionalizzata e dell'agricoltura collettivizzata. Lenin riteneva che il raggiungimento di questo obiettivo avrebbe richiesto il lavoro consecutivo di due o tre generazioni e, per di più, in un legame indissolubile con lo sviluppo della rivoluzione mondiale.
Riassumendo: per capitalismo di stato, nel senso stretto del termine, dobbiamo intendere la gestione di imprese industriali e d'altro tipo da parte dello stato borghese, per suo proprio conto, oppure l'intervento «regolarizzatore» dello stato borghese nel funzionamento delle imprese capitalistiche private. Per capitalismo di stato «tra virgolette», Lenin intendeva il controllo dello stato proletario sulle imprese e sui rapporti capitalistici privati. Nessuna di queste definizioni può essere applicata, da qualsiasi angolo visuale, all'economia sovietica attuale. Quale contenuto economico concreto Urbahns attribuisca al suo concetto di «capitalismo di stato» sovietico rimane un mistero assoluto. Per dirla francamente, la sua recentississima teoria è tutta costruita sulla base di una citazione mal letta.
Esiste tuttavia anche un'altra teoria riguardante il carattere «non proletario» dello stato sovietico, assai più ingegnosa e prudente ma nient'affatto più seria. Il socialdemocratico francese Lucien Laurat(27), compare di Blum(28) e maestro di Souvarine, ha scritto un libro per difendere il punto di vista secondo cui la società sovietica, non essendo né proletaria né borghese, rappresenta un tipo assolutamente nuovo di organizzazione di classe dal momento che la burocrazia non si limita a dominare politicamente il proletariato, ma lo sfrutta anche dal punto di vista economico, appropriandosi del plusvalore che in precedenza veniva incamerato dalla borghesia. Laurat rive-
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ste le sue rivelazioni con le ponderose formule del Das Kapital(29) e, in tal modo, conferisce una parvenza di profondità alla sua «sociologia» superficiale e puramente-descrittiva. A quanto pare, questo autore non è consapevole del fatto che tutta la sua teoria era già stata formulata oltre trent'anni fa, ma con maggior ardore ed imponenza, dal rivoluzionario russo-polacco Machajski(30), che ebbe sul suo volgarizzatore francese la superiorità di non aver atteso né la Rivoluzione d'Ottobre né la burocrazia staliniana per definire la «dittatura del proletariato» come la struttura dei posti di comando di una burocrazia sfruttatrice. Ma anche Machajski non creò la sua teoria dal nulla: egli non fece che «approfondire» dal punto di vista sociologico ed economico i pregiudizi anarchici contro il socialismo di stato. Tra l'altro, Machajski utilizzò anche le formule di Marx, ma in maniera molto più conseguente di Laurat: secondo Machajski, l'autore del Das Kapital occultò deliberatamente, nelle sue formule sulla riproduzione (Libro II)(31). quella parte di plusvalore che sarebbe stata assorbita dall'intellighenzia socialista (la burocrazia).
Ai giorni nostri una «teoria» di questo genere, ma senza la denuncia di Marx in quanto sfruttatore, è stata difesa da Myasnikov(32), il quale proclamò che la dittatura del proletariato in Unione Sovietica era stata soppiantata dalla dittatura di una nuova classe: la socialburocrazia. Con tutta probabilità Laurat ha preso a prestito la propria teoria, direttamente o indirettamente, proprio da Myasnikov, e non ha fatto altro che conferirle un'espressione pedantescamente «saccente». A rigor di completezza, bisogna anche aggiungere che Laurat ha assimilato tutti gli errori (e soltanto gli errori) di Rosa Luxemburg(33), ivi compresi persino quelli di cui lei stessa era riuscita a sbarazzarsi.
Esaminiamo però questa «teoria» più da vicino. Per un marxista, quello di classe è un concetto eccezionalmente importante e, perdipiù, scientificamente definito. Una classe è definita non soltanto dalla sua partecipazione alla ripartizione del reddito nazionale, ma anche dal ruolo indipendente che essa svolge nell'ambito della struttura generale dell'economia e dalle radici indipendenti che affonda nelle basi economiche della società. Ogni classe (la nobiltà feudale, il contadiname, la piccola borghesia, la borghesia capitalistica e il proletariato) elabora le proprie forme specifiche di proprietà. Alla burocrazia mancano tutti questi tratti sociali. Essa non occupa alcuna posizione indipendente nel processo della produzione e della distribuzione. Non ha radici indipendenti per quanto riguarda la proprietà. Le sue funzioni sono fondamentalmente attinenti alla tecnica politica del dominio di classe. Qualsiasi regime di classe è caratterizzato dalla presenza della burocrazia, in tutte le sue varietà di forme e le sue differenze di peso specifico. La sua forza- ha un carattere riflesso. La burocrazia è indissolubilmente legata alla classe economicamente dominante, trae alimento dalle radici sociali di quest'ultima e vive e muore insieme ad essa.
Sfruttamento di classe e parassitismo sociale
Laurat affermerà di «non essere contrario» al fatto che la burocrazia venga retribuita per il suo lavoro nella misura in cui svolge le necessarie funzioni politiche, economiche e culturali, ma il problema è che essa si appropria senza alcun controllo di una porzione assolutamente sproporzionata del reddito nazionale; proprio in tal senso essa è una «classe sfruttatrice». Questo argomento, che si basa su fatti inconfutabili, non modifica però la fisionomia sociale della burocrazia.
La burocrazia assorbe, sempre e sotto qualsiasi regime, una porzione non irrilevante di plusvalore. Non sarebbe privo di interesse, ad esempio, calcolare quale parte del reddito nazionale venga divorata dalle cavallette fasciste in Italia o in Germania. Ma questo fatto, che di per se stesso non è privo di importanza, non basta affatto a fare della burocrazia fascista una classe dominante indipendente. Essa è serva della borghesia. E' vero che questa serva si mette a caval-
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cioni sulle spalle del proprio padrone, gli strappa talvolta di bocca i bocconi più succulenti e, per di più, sputa sulla sua testa calva. Checché se ne dica, per essere una serva è fin troppo fastidiosa! Ma in ogni caso non si tratta che di una serva. La borghesia la sopporta poiché, senza burocrazia, essa e il suo regime se la vedrebbero brutta.
Mutatis mutandis, quanto è stato detto fino ad ora può essere applicato anche alla burocrazia staliniana. Essa divora, dissipa e dilapida una porzione considerevole del reddito nazionale. Il suo mantenimento costa estremamente caro al proletariato. All'interno della società sovietica essa occupa una posizione straordinariamente privilegiata, non soltanto in rapporto alle sue prerogative politiche ed amministrative, ma anche nel senso che gode di enormi vantaggi materiali. Eppure gli appartamenti più spaziosi, le bistecche più succulente e persino le Rolls-Royce non bastano ancora a fare della burocrazia una classe dominante indipendente.
In una società socialista la diseguaglianza, e a maggior ragione una diseguaglianza tanto stridente, sarebbe certo assolutamente impossibile. Tuttavia, contrariamente alle menzogne ufficiali e semi-ufficiali, il regime sovietico attuale non è socialista ma transitorio. Esso reca ancora in sé il mostruoso retaggio del capitalismo, ed in particolare la diseguaglianza sociale non soltanto tra la burocrazia e il proletariato, ma anche all'interno della burocrazia stessa e in seno al proletariato. Allo stadio attuale la diseguaglianza resta ancora, entro certi limiti, uno strumento borghese di progresso socialista: i salari differenziati, i premi di produzione, ecc., vengono utilizzati come stimoli all'emulazione.
Pur spiegando la diseguaglianza, il carattere transitorio del sistema attuale non giustifica affatto i mostruosi privilegi visibili ed occulti che i vertici incontrollati della burocrazia si sono arrogati. L'opposizione di Sinistra(34) non ha atteso le rivelazioni di Urbahns, di Laurat, di Souvarine, di Simone Weil(35)(c) e di altri per annunciare che la burocrazia, in tutte le sue manifestazioni, fa a pezzi i legami morali della società sovietica, alimentando un malcontento profondo e legittimo tra le masse e preparando il terreno a grandi pericoli. Ciò nonostante i privilegi della burocrazia, di per se stessi, non modificano le basi della società sovietica dal momento che la burocrazia trae i suoi privilegi non da specifici rapporti di proprietà ad essa peculiari in quanto «classe», bensì dai rapporti di proprietà che sono stati creati dalla Rivoluzione d'Ottobre e che sono fondamentalmente adeguati alla dittatura del proletariato.
Per dirla chiaro e tondo, nella misura in cui la burocrazia deruba il popolo (cosa che viene fatta, in svariati modi, da qualsiasi burocrazia), noi non abbiamo a che fare con uno sfruttamento di classe nel senso scientifico del termine, bensì con un parassitismo sociale, benché su scala estremamente vasta. Nel Medioevo il clero costituiva una classe o uno «stato» sociale nella misura in cui il suo dominio dipendeva da un sistema specifico di proprietà della terra e di lavoro forzato. La Chiesa odierna non rappresenta una classe sfruttatrice, bensì
[c] Caduta nella disperazione per gli «infelici» esperimenti della dittatura del proletariato, Simone Weil ha trovato conforto in una nuova vocazione: la difesa della propria personalità dalla società. La vecchia formula del liberalismo rinverdita da un'esaltazione anarcoide a buon mercato! E pensare che Simone Weil parla altezzosamente delle nostre «illusioni». A lei e ai suoi simili ci vorrebbero molti anni di ostinata perseveranza per liberarsi dei pregiudizi piccolo-borghesi più reazionari. E' abbastanza logico che le sue nuove vedute abbiano trovato rifugio nel giornale che porta il titolo manifestamente ironico de La Révolution prolétarienne. Questa pubblicazione di Louzon (36) è la più ideale possibile per i rivoluzionari melanconici, per i rentier politici che vivono dei dividendi del loro capitale di ricordi e per i filosofastri pretenziosi che forse aderiranno alla rivoluzione ... dopo che sarà stata realizzata. [Nota di Lev Trotsky.]
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una corporazione parassitaria. In effetti sarebbe sciocco parlare del clero americano come di una classe dominante particolare; tuttavia è indubbio che i sacerdoti dei diversi colori e delle diverse confessioni divorano negli Stati Uniti una grossa fetta di plusvalore. Nei suoi tratti di parassitismo, la burocrazia, come il clero, è simile al sottoproletariato, che analogamente non costituisce, com'è noto, una «classe» indipendente.
La questione ci si presenterà con maggior rilievo se la esaminiamo non nel suo aspetto statico, ma dal punto di vista dinamico. Sperperando improduttivamente una parte enorme del reddito nazionale, la burocrazia sovietica è nel contempo interessata, in virtù della sua stessa funzione, allo sviluppo economico e culturale del paese: quanto più elevato sarà il reddito nazionale, tanto più abbondanti saranno gli stanziamenti per i suoi privilegi. Nello stesso tempo la crescita economica e culturale delle masse lavoratrici, sulle fondamenta sociali dello stato sovietico, tenderà per forza a minare le basi stesse del dominio burocratico. E' chiaro che, alla luce di questa variante storica favorevole, la burocrazia si rivela essere soltanto uno strumento -- uno strumento pessimo e costoso -- dello stato socialista.
Tuttavia, consumando una porzione sempre maggiore del reddito nazionale e sovvertendo le proporzioni fondamentali dell'economia -verrà detto per confutarci --, la burocrazia ritarda la crescita economica e culturale del paese. E' assolutamente vero! Un ulteriore sviluppo senza intralci del burocratismo porterà inevitabilmente ad un arresto dello sviluppo economico e culturale, ad una spaventosa crisi sociale e ad un arretramento di tutta la società. Tuttavia questo comporterebbe non soltanto il crollo della dittatura proletaria, ma anche la fine del dominio burocratico. Il posto dello stato operaio verrebbe occupato non da rapporti «socialburocratici», bensì da rapporti capitalistici.
Speriamo che l'aver posto la questione in questa duplice prospettiva ci aiuti a risolvere una volta per tutte la controversia sulla natura di classe dell'URSS; sia che prendiamo in considerazione la variante degli ulteriori progressi del regime sovietico oppure, al contrario, quella del suo crollo, in entrambi i casi la burocrazia si rivela essere non una classe indipendente, bensì un'escrescenza che alligna sul proletariato. Un tumore può raggiungere dimensioni enormi e persino soffocare l'organismo vivente, ma non potrà mai diventare un organismo indipendente.
Possiamo infine aggiungere, per fare completamente chiarezza, che se nell'URSS di oggi fosse al potere un partito marxista, esso rinnoverebbe tutto il regime politico: scompaginerebbe ed epurerebbe la burocrazia e la porrebbe sotto il controllo delle masse; trasformerebbe tutti i procedimenti amministrativi ed introdurrebbe una serie di riforme cruciali nella gestione dell'economia; ma non dovrebbe in alcun caso portare a termine un rivolgimento nei rapporti di proprietà, cioè
una nuova rivoluzione sociale.
Le vie possibili della controrivoluzione
La burocrazia non è una classe dominante. Ma lo sviluppo ulteriore del regime burocratico potrebbe portare alla comparsa di una nuova classe dominante: non organicamente, attraverso la degenerazione, bensì mediante una controrivoluzione. Noi definiamo centrista (37). l'apparato staliniano proprio perché esso svolge un duplice ruolo: oggi che non c'è più una direzione marxista, e non se ne sta ancora delineando nessuna, essa difende la dittatura proletaria con i propri metodi; ma questi metodi sono tali da facilitare la vittoria del nemico domani. Chi non capisce questo duplice ruolo dello stalinismo in URSS non ha capito nulla.
La società socialista vivrà la sua vita senza partito così come vivrà senza stato. Nelle condizioni dell'epoca di transizione, la so-
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vrastruttura politica gioca un ruolo decisivo. Una dittatura del proletariato sviluppata e stabile presuppone che il partito giochi un ruolo dirigente in quanto avanguardia indipendente, che il proletariato sia unificato mediante i sindacati, che i lavoratori siano indissolubilmente legati allo stato attraverso il sistema dei soviet e, infine, che lo stato operaio formi, per mezzo dell'Internazionale, un'unica unità di combattimento insieme al proletariato mondiale. Tuttavia la burocrazia ha strangolato il partito, i sindacati, i soviet e l'Internazionale Comunista. Non c'è bisogno di spiegare in questa sede quale parte gigantesca di responsabilità per la degenerazione del regime proletario ricada sulla socialdemocrazia internazionale, che si è macchiata di crimini e di tradimenti -- ed alla quale, tra parentesi, appartiene anche il signor Laurat(d) (*).
Ma quale che sia la vera ripartizione della responsabilità storica, il risultato rimane lo stesso: lo strangolamento del partito, dei soviet e dei sindacati comporta l'atomizzazione politica del proletariato. Invece di essere superati politicamente, gli antagonismi sociali vengono soppressi per via amministrativa. Sotto tale pressione essi si accumulano nella stessa misura in cui scompaiono le risorse politiche per risolverli in modo normale. La prima grande scossa sociale, esterna o interna, potrebbe gettare la società sovietica atomizzata in una situazione di guerra civile. Gli operai, che hanno perduto il controllo dello stato e dell'economia, possono far ricorso agli scioperi di massa in quanto strumenti di autodifesa. La disciplina della dittatura [proletaria] verrebbe infranta. Sotto la spinta degli operai e a causa della pressione delle difficoltà economiche, i trust si vedranno costretti ad abbandonare il principio della pianificazione e ad entrare in concorrenza gli uni con gli altri. Il disfacimento del sistema troverà naturalmente un'eco violenta e caotica nelle campagne e si ripercuoterà inevitabilmente sull'esercito. Lo stato socialista crollerà, cedendo il posto al regime capitalistico o, più esattamente, all'anarchia capitalista.
La stampa staliniana, beninteso, riprodurrà la nostra analisi allarmata definendola come una profezia controrivoluzionaria, o addirittura come il «desiderio» espresso dai «trotskisti». Nei confronti degli scribacchini dell'apparato non nutriamo da lungo tempo altro sentimento che un silenzioso disprezzo. Secondo noi la situazione è pericolosa, ma nient'affatto disperata. In ogni caso, annunciare che la battaglia rivoluzionaria principale è stata perduta -- prima di lottare e senza lottare -- sarebbe un atto di abissale codardia e di tradimento bell'e buono.
E' possibile eliminare «pacificamente» la burocrazia?
Se è vero che la burocrazia ha concentrato nelle proprie mani tutto il potere e tutti i mezzi per raggiungerlo -- ed è vero --, allora sorge una domanda di non poca importanza: come pervenire ad una
[d] Questo profeta accusa i bolscevico-leninisti russi (38) di mancare di risolutezza rivoluzionaria. Confondendo alla maniera degli austromarxisti (39) la rivoluzione con la controrivoluzione ed il ritorno alla democrazia borghese con il mantenimento della dittatura proletaria, Laurat impartisce delle lezioni di lotta rivoluzionaria a Rakovsky (40). Questo stesso signore condanna di passata Lenin come un «mediocre teorico». C'è poco da meravigliarsi! Lenin, che formulò nel modo più semplice le conclusioni teoriche più complesse, non può incutere soggezione al pretenzioso filisteo che attribuisce una parvenza cabalistica alle sue inconsistenti e banali generalizzazioni.
Progetto di biglietto da visita: «Lucien Laurat. Occupazione secondaria: teorico e stratega di riserva della rivoluzione proletaria. . .per la Russia. Professione: aiutante di Léon Blum.» Il testo è un po' lungo, ma corretto. E si dice che questo «teorico» abbia degli aderenti tra i giovani. Poveri giovani! [Nota di Lev Trotsky.]
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riorganizzazione dello stato sovietico? Ed è possibile assolvere tale compito con metodi pacifici?
Dobbiamo innanzitutto stabilire, come assioma immutabile, che questo compito può essere assolto unicamente da un partito rivoluzionario. Il compito storico fondamentale è dunque quello di creare il partito rivoluzionario in URSS a partire dagli elementi sani del vecchio partito e dai giovani. Parleremo più avanti delle condizioni in cui esso può essere assolto. Supponiamo però che questo partito già esista. Attraverso quali vie potrebbe prendere il potere? Già nel 1927, rivolgendosi all'Opposizione di Sinistra, Stalin disse che: «Il gruppo dirigente attuale può essere eliminato soltanto mediante una guerra civile» (41). Si trattava di una sfida -- di carattere bonapartista -rivolta non all'opposizione di Sinistra, ma al partito. Dopo aver concentrato tutte le leve nelle proprie mani, la burocrazia proclamò apertamente che non avrebbe più permesso al proletariato di sollevare la testa. La marcia successiva degli eventi ha conferito un grande peso a quella sfida. Dopo le esperienze degli ultimi anni sarebbe infantile supporre che la burocrazia staliniana possa essere rimossa mediante un congresso del partito o dei soviet. In realtà il XII Congresso, svoltosi agli inizi del 1923 (42), fu l'ultimo congresso del partito bolscevico. Tutti i congressi successivi furono delle parate burocratiche. Oggi persino tali congressi sono stati soppressi. Per eliminare la cricca dirigente non rimane alcuna via «costituzionale» normale. La burocrazia può essere costretta a rimettere il potere nelle mani dell'avanguardia proletaria unicamente con la forza.
Tutti gli scribacchini grideranno subito in coro: i «trotskisti», alla stregua di Kautsky (43), predicano l'insurrezione armata contro la dittatura del proletariato. Ma lasciamo perdere. Per il nuovo partito proletario la questione della presa del potere si presenterà in quanto questione pratica soltanto nel momento in cui esso avrà raccolto attorno a sé la maggioranza della classe operaia. Nel corso di tale cambiamento radicale dei rapporti di forza, la burocrazia apparirà sempre più isolata e divisa. Come sappiamo, le radici sociali della burocrazia affondano nel proletariato -- basandosi, se non sul suo sostegno attivo, quanto meno sulla sua «tolleranza». Quando il proletariato entrerà in azione, l'apparato staliniano rimarrà sospeso a mezz'aria. Se esso cercherà ancora, nonostante tutto, di opporre resistenza, sarà allora necessario adottare nei suoi confronti non dei provvedimenti da guerra civile, bensì delle misure di carattere poliziesco. In ogni caso non si tratterà di un'insurrezione armata contro la dittatura del proletariato, ma della rimozione dell'escrescenza maligna che ha attecchito su di essa.
Una vera guerra civile potrebbe svilupparsi non tra la burocrazia staliniana e il proletariato ridestato, bensì tra il proletariato e le forze attive della controrivoluzione. Nel caso di uno scontro aperto tra due campi di massa non si può neppure pensare che la burocrazia sia in grado di giocare un ruolo indipendente. Le sue ali opposte si disporranno sui diversi lati della barricata. La sorte dello sviluppo successivo verrà ovviamente determinata dall'esito della lotta. In ogni caso, la vittoria del campo rivoluzionario è concepibile soltanto sotto la direzione di un partito proletario, che verrebbe naturalmente portato al potere da una vittoria sulla controrivoluzione.
Che cosa è più vicino: il pericolo di un crollo del potere sovietico minato dal burocratismo oppure l'ora del raggruppamento del proletariato attorno ad un nuovo partito capace di salvare l'eredità dell'Ottobre? A questa domanda non si può dare nessuna risposta a priori; sarà la lotta a decidere. I rapporti di forza verranno determinati da una grande prova storica, che potrebbe anche essere una guerra. In ogni caso è chiaro che, in una situazione di ulteriore disgregazione del movimento proletario mondiale e di ulteriore espansione del dominio fascista, sarà impossibile mantenere a lungo il potere sovietico con le sole forze interne. La condizione fondamentale
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per rendere possibile l'unica riforma radicale dello stato sovietico è lo sviluppo vittorioso della rivoluzione mondiale.
Il movimento rivoluzionario in Occidente può rinascere anche senza partito, ma non può vincere che sotto la direzione di un partito. Durante tutta l'epoca della rivoluzione sociale, cioè per una serie di decenni, il partito rivoluzionario internazionale continuerà ad essere lo strumento fondamentale del progresso storico. Gridando che le «vecchie forme» sono superate e che è necessario qualcosa di «nuovo» -- ma che cosa, per la precisione? --, Urbahns non fa che dar prova della confusione in cui si trova ... sotto una forma piuttosto antiquata. Il lavoro sindacale nelle condizioni del capitalismo «pianificato» e la lotta contro il fascismo e la guerra imminente faranno indubbiamente emergere nuovi metodi e nuovi tipi di organizzazioni di lotta. Basta soltanto non indulgere, come fanno i brandleriani, in fantasie sui sindacati illegali, ma studiare invece attentamente il corso reale della lotta, cogliere l'iniziativa degli operai stessi, estenderla e generalizzarla. Tuttavia per svolgere tale lavoro è prima di tutto necessario un partito, cioè il nucleo politicamente coeso dell'avanguardia proletaria. La posizione di Urbahns è soggettiva: egli è stato deluso dal partito dopo essere riuscito con successo a far naufragare il proprio «partito».
Alcuni degli innovatori proclamano: noi avevamo detto «molto tempo fa» che erano necessari nuovi partiti; adesso, finalmente, anche i «trotskisti» lo riconoscono; un giorno o l'altro essi si renderanno conto anche del fatto che l'Unione Sovietica non è uno stato operaio. Questa gente si preoccupa di fare «scoperte» astronomiche invece di esaminare il processo storico reale(44). Sin dal 1921 la setta di Gorter (45) ed il «partito operaio comunista» tedesco (46) ritennero che il Comintern fosse ormai condannato. A partire da allora si sono registrate non poche dichiarazioni di questo genere (Loriot (47), Korsch (48), Souvarine e via dicendo). Tuttavia queste «diagnosi» non hanno portato assolutamente a nulla, poiché non facevano che riflettere la disillusione soggettiva di circoli e di singoli personaggi e non le esigenze oggettive del processo storico. E' proprio per questa ragione che i chiassosi innovatori rimangono ancor oggi in disparte(e).
La marcia degli eventi non segue un itinerario prestabilito. Con la sua capitolazione di fronte al fascismo, il Comintern ha rovinato se stesso agli occhi delle masse e non di singoli individui. Ma lo stato sovietico esiste ancora, con un'autorità rivoluzionaria estremamente ridotta, è vero, anche dopo il collasso del Comintern. Occorre considerare i fatti così come vengono determinati dallo sviluppo reale e non fare i capricci e mettere il broncio, come fa Simone Weil; non ci si deve impermalosire nei confronti della storia, né volgerle le spalle.
Per costruire dei nuovi partiti e la nuova Internazionale sono necessarie prima di tutto delle solide basi di principio che siano all'altezza della nostra epoca. Noi non ci facciamo alcuna illusione a proposito delle insufficienze e delle lacune dell'arsenale teorico dei bolscevico-leninisti. Tuttavia il loro lavoro decennale ha preparato le premesse teoriche e strategiche fondamentali per la costruzione della nuova Internazionale. Mano nella mano con i nostri nuovi alleati (49), noi svilupperemo tali premesse e le concretizzeremo sulla base della critica nel corso reale della lotta.
[e] Nella sua essenza, ciò che abbiamo appena detto può essere applicato alle organizzazioni che si sono separate in tempi relativamente recenti dalla socialdemocrazia (50) o che hanno generalmente avuto un loro tipo particolare di sviluppo (come il partito socialista rivoluzionario olandese (51)), e che si sono naturalmente rifiutate di legare la propria sorte a quella del Comintern nel periodo della sua decadenza. Le migliori tra queste organizzazioni si stanno ora ponendo sotto la bandiera della nuova Internazionale (52). Altre le seguiranno domani. [Nota di Lev Trotsky.]
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La Quarta Internazionale e l'URSS
Il nucleo del nuovo partito in URSS -- in definitiva, il partito bolscevico rigenerato sotto nuove condizioni -- sarà costituito dal raggruppamento dei bolscevico-leninisti. Anche la stampa sovietica ufficiale degli ultimi mesi testimonia che i nostri seguaci hanno portato avanti il loro lavoro con coraggio e non senza successo. Ma sarebbe fuori luogo illudersi: il partito dell'internazionalismo rivoluzionario sarà in grado di liberare gli operai dall'influenza distruttiva della burocrazia nazionale soltanto nel caso che l'avanguardia proletaria internazionale si affaccerà di nuovo sull'arena mondiale in quanto forza combattiva.
Sin dall'inizio della guerra imperialista e, in una forma più sviluppata, a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre, il partito bolscevico giocò un ruolo dirigente nella lotta rivoluzionaria mondiale. Oggi questa posizione è stata completamente perduta. Ciò non vale soltanto per la caricatura ufficiale del partito. Le condizioni straordinariamente difficili in cui lavorano i bolscevico-leninisti russi escludono la possibilità che essi giochino un ruolo dirigente su scala internazionale. Per di più, il gruppo dell'opposizione di Sinistra in URSS potrà svilupparsi in nuovo partito unicamente come frutto della formazione e dello sviluppo vincente della nuova Internazionale. Il centro di gravità rivoluzionario si è spostato definitivamente in Occidente, dove le possibilità immediate di costruire dei nuovi partiti sono incomparabilmente maggiori.
Sotto l'influenza delle tragiche esperienze degli ultimi anni, in seno al proletariato di tutti i paesi si è accumulata una grande quantità di elementi rivoluzionari che attendono un discorso chiaro ed una bandiera senza macchia. E' vero che le convulsioni del Comintern hanno spinto quasi ovunque nuovi strati di operai verso la socialdemocrazia. Ma proprio questo afflusso di masse turbolente si trasforma in un pericolo mortale per il riformismo: esso fa a pezzi tutte le connessure e si disintegra in frazioni, dando dovunque vita ad un'ala rivoluzionaria. Tali sono le premesse politiche immediate della creazione della nuova Internazionale. La prima pietra è già stata posta: si tratta della dichiarazione dei principi delle quattro organizzazioni (53).
La condizione per gli ulteriori successi risiede in una valutazione corretta della situazione mondiale, compresa quella della natura di classe dell'Unione Sovietica. Lungo questa direttrice, la nuova Internazionale sarà sottoposta a delle prove sin dai primi giorni della sua esistenza.. Prima di essere in grado di riformare lo stato sovietico, essa dovrà assumersi il compito di difenderlo.
Qualsiasi tendenza politica che si allontani irrimediabilmente dall'Unione Sovietica con la scusa del suo carattere «non proletario» corre il rischio di diventare uno strumento passivo dell'imperialismo. E dal nostro-punto di vista, ovviamente, non è esclusa la tragica possibilità che il primo stato operaio, indebolito dalla sua burocrazia, cada sotto i colpi congiunti dei suoi nemici interni ed esterni. Ma anche nel caso di questa possibile peggior variante, la questione di sapere chi siano i colpevoli della catastrofe assumerà un'immensa importanza per la marcia successiva della lotta rivoluzionaria. Sugli ,internazionalisti rivoluzionari non deve cadere la minima ombra di colpevolezza. Nell'ora del pericolo mortale, essi debbono difendere fino all'ultima barricata.
Oggi una rottura dell'equilibrio burocratico in URSS andrebbe sicuramente a vantaggio delle forze controrivoluzionarie. Se però esistesse un' Internazionale autenticamente rivoluzionaria, l'inevitabile crisi del regime staliniano aprirebbe la possibilità di rigenerare l'URSS. Questa è la nostra linea fondamentale.
La politica estera del Cremlino assesta ogni giorno nuovi colpi al proletariato mondiale. Staccati dalle masse, i funzionari diplomatici calpestano, sotto la direzione di Stalin, i sentimenti rivoluzionari più elementari degli operai di tutti i paesi, prima di tutto a gravissimo detrimento della stessa Unione Sovietica. Ma in questo non c'è
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nulla di inatteso. La politica estera della burocrazia integra quella interna. Noi combattiamo sia l'una che l'altra. Ma conduciamo la nostra lotta dal punto di vista della difesa dello stato operaio.
Nei diversi paesi i funzionari del Comintern in decomposizione continuano a giurare fedeltà all'Unione Sovietica. Costruire qualcosa sulla base di tali giuramenti sarebbe un atto di imperdonabile stupidità. Per la maggioranza di questa gente la «difesa» a parole dell'URSS non è una convinzione, bensì una professione. Essi non si battono per la dittatura del proletariato, ma si limitano a fungere da battistrada per la burocrazia staliniana (si veda ad esempio l'Humanité (54)). Nel momento critico, il Comintern «barbussizzato» (55) non sarà in grado di offrire all'Unione Sovietica un sostegno migliore dell'opposizione di cui aveva dato prova nei confronti di Hitler. Ma per quanto riguarda gli internazionalisti rivoluzionari è tutto un altro paio di maniche. Vergognosamente perseguitati per un decennio dalla burocrazia, essi chiamano instancabilmente gli operai alla difesa dell'Unione Sovietica.
Il giorno in cui la nuova Internazionale dimostrerà agli operai russi, non a parole ma nell'azione, che essa ed essa soltanto si batte per la difesa dello stato operaio, la situazione dei bolscevico-leninisti all'interno dell'Unione Sovietica cambierà nel giro di ventiquattro ore. La nuova Internazionale proporrà alla burocrazia staliniana un fronte unico contro il nemico comune. E se la nostra Internazionale rappresenterà di per sé una forza, la burocrazia non potrà rifiutare il fronte unico nell'ora del pericolo. Che cosa resterà allora delle menzogne e delle calunnie accumulatesi per anni ed anni?
Anche in caso di guerra, il fronte unico con la burocrazia staliniana non comporterà una «santa alleanza» alla maniera dei partiti borghesi e socialdemocratici che, al momento della rissa imperislista, sospendono ogni critica reciproca per meglio ingannare il popolo. No, anche in caso di guerra noi manterremo la nostra intransigenza critica nei confronti del centrismo burocratico, che non sarà più in grado di nascondere la propria incapacità nel condurre una vera guerra rivoluzionaria.
Tanto il problema della rivoluzione mondiale quanto quello dell'Unione Sovietica possono essere compendiati in un'unica e breve formula: la Quarta Internazionale!(56)
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[1] Lev Trotsky, «Klassovaya priroda sovetskogo gosudarstva», in Biulleten Oppozitsii [Paris], n. 36-37, ottobre 1933. La presente traduzione italiana, realizzata e curata da Paolo Casciola, si basa sulle versioni francese e inglese, pubblicate rispettivamente in La Vérité [Paris], n. 175, 13 ottobre 1933, sotto il titolo «La Quatrième Internationale et l'URSS»; e in The Militant [New York], n. 6, 20 gennaio 1934, sotto il titolo «The Soviet Union and the Fourth International».
[2] La Terza Internazionale o Internazionale Comunista, nota anche come Comintern (dall'abbreviazione del suo nome russo, Kommunistichesky Internatsional) venne fondata a Mosca nel marzo del 1919 in quanto continuazione della lotta internazionalista condotta dall'ala rivoluzionaria della Seconda Internazionale durante la prima guerra mondiale e direttamente influenzata da Lenin e dal partito bolscevico. Dal 1919 al 1922 essa tenne i suoi primi quattro congressi mondiali, i cui documenti vennero considerati da Trotsky come parte essenziale delle basi programmatiche del movimento di opposizione da egli fondato. In seguito il Comintern subì una progressiva degenerazione burocratica, dapprima sotto la direzione di Stalin e Zinoviev, poi dio, Stalin e Bukharin, ed infine del solo Stalin. Sotto la leadership di quest'ultimo, l'Internazionale subì una pesantissima sconfitta con la vittoria di Hitler in Germania, che venne facilitata dalla linea avventurista-ultrasinistra del «terzo periodo» imposta al partito tedesco. Come conseguenza di questi avvenimenti, a partire dalla metà del 1933 Trotsky dichiarò il Comintern irriformabile e morto in quanto organizzazione rivoluzionaria, ed avviò la lotta per la costruzione di nuovi partiti comunisti e di una nuova internazionale, la Quarta.
Nel luglio-agosto del 1935 il VII Congresso dell'Internazionale stalinizzata varò la politica dei Fronti Popolari, che equivaleva a subordinare il proletariato alla borghesia nel quadro di una collaborazione di classe mirante a salvaguardare l'ordinamento capitalistico. Tale politica, che sancì il passaggio definitivo del Comintern nel campo del riformismo, venne poi applicata con risultati disastrosi in Francia e soprattutto in Spagna. Nel maggio del 1943 Stalin decretò lo scioglimento dell'Internazionale in omaggio alla sua alleanza bellica con le potenze imperialiste «democratiche».
[3] I brandleriani erano i seguaci di Heinrich Brandler (18811967). Muratore, attivo nel movimento sindacale e membro del partito socialdemocratico tedesco (SPD) dal 1901, ne venne espulso nel 1915 a causa della sua posizione internazionalista rivoluzionaria di opposizione alla guerra imperialista. Aderì poi allo Spartakusbund ed al partito socialdemocratico indipendente (USPD), e fu tra i fondatori del partito comunista tedesco (KPD), risultando eletto nella sua Zentrale. Dirigente dell'organizzazione locale del KPD a Chemnitz, in Sassonia, appoggiò Paul Levi distanziandosene poi agli inizi del 1921 e diventando presidente del partito al suo posto. Guidò il KPD durante l'«azione di marzo» (1921), in seguito al fallimento della quale subì una condanna. Liberato, si rifugiò a Mosca, dove fu membro del Presidium dell'Internazionale Comunista, e nell'agosto del 1922 fece ritorno in Germania come capo indiscusso del KPD. Fautore della tattica del fronte unico e della politica del governo operaio, accettò con delle riserve il piano elaborato a Mosca per un «Ottobre tedesco» (1923) ed entrò come ministro nel governo sassone del socialdemocratico Erich Zeigner. Capro espiatorio della sconfitta che ne seguì, fu richiamato a Mosca e lavorò negli apparati del Comintern, del Profíntern (Internazionale Sindacale Rossa) e del Krestintern (Internazionale Contadina). Rientrato nuovamente in Germania nel 1928, fondò una rivista che si opponeva da destra alla linea ufficiale del KPD, dal quale venne espulso. Nel dicembre di quell'anno fondò, insieme ad August Thalheimer, la Kommunistische Partei Opposition (KPO), che fu attiva fino all'avvento del fascismo, la cui politica era analoga a quella della tendenza Bukharin-Rykov in URSS e del gruppo di Lovestone negli USA. Nel 1933 emigrò dapprima in Francia, poi a Cuba, e dopo la seconda guerra mondiale tornò in Germania dove diresse il gruppo Arbeiterpolitik.
I brandleriani rifiutavano in generale di «immischiarsi» negli affari russi e speravano di essere un giorno richiamati dall'Internazionale Comunista ai posti di comando come ricompensa per il loro rifiuto di criticare il partito sovietico e per la loro ostilità nei confronti dei trotskisti. E' a questa posizione che Trotsky allude quando parla della loro «doppia contabilità».
[4] Jacob Liebstein, detto Jay Lovestone (1898- ). Nato in Lituania ma emigrato negli USA nel 1907, divenne socialista nel 1917 e due anni dopo aderì al Communist Party of America. Membro del Comitato Centrale di tale partito e redattore capo del suo organo, The Communist, in seguito all'unificazione dei due partiti comunisti statunitensi divenne segretario nazionale della nuova formazione (gennaio 1922). Coinvolto nelle lotte di frazione che dilaniarono il Workers Party of America in quanto capo di una corrente minoritaria, riuscì ad aver ragione dell'opposizione della tendenza Foster-Cannon e ad essere eletto segretario generale grazie all'appoggio dell'Internazionale stalínizzata. Giocò un ruolo da protagonista in occasione del VI Congresso del Comintern (luglio-settembre 1928), ma dopo la sconfitta di Bukharin venne estromesso dalla direzione del partito ed espulso (maggio 1929). Fondò quindi il Communist Party (Opposition), che adottò successivamente il nome di Independent Labor League. Dopo lo scioglimento di tale gruppo, avvenuto nel 1940, Lovestone ricoprì cariche direttive in seno all'American Federation of Labor, diventando consigliere del suo presidente George Meany ed un convinto sostenitore della «Guerra Fredda» contro l'URSS.
[5] Con il termine «riformismo» vengono indicate la teoria e la prassi di un passaggio dal capitalismo al socialismo da attuarsi gradualmente, mediante mezzi e metodi pacifici e parlamentari. I riformisti cercano quindi di smussare i contrasti tra le classi e la lotta di classe, favorendo invece la collaborazione tra le classi. La logica di tale orientamento li porta a schierarsi con la borghesia contro il proletariato e contro i popoli coloniali.
[6] Dal nome di Immanuel Kant (1724-1804), filosofo idealista tedesco.
[7] La Comune di Parigi fu il primo governo operaio che la storia abbia conosciuto. Proclamata il 18 marzo 1871, all'indomani della sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana del 1870-71, venne schiacciata il 28 maggio di quello stesso anno dalle forze militari della borghesia francese con l'aiuto dell'esercito tedesco.
[8] Brest-Litovsk era la città sulla frontiera russo-polacca dove, il 3 marzo 1918, una delegazione sovietica sottoscrisse un trattato di pace che poneva fine alle ostilità tra la Russia rivoluzionaria e la Germania imperiale. Sebbene i termini del trattato fossero di gran lunga sfavorevoli agli interessi sovietici, il governo rivoluzionario ritenne di doverlo firmare, essendo incapace di proseguire la guerra, nonostante l'opposizione della «sinistra» del partito bolscevico. In seguito, nel novembre del 1918, la rivoluzione tedesca restituì alla Russia sovietica la maggior parte dei territori perduti con la pace di Brest-Litovsk.
[9] La NEP -- abbreviazione russa di Novaya Ekonomicheskaya Politika, cioè «nuova politica economica» --, adottata nel marzo del 1921 in occasione del X Congresso del partito bolscevico russo, segnò la fine del «comunismo di guerra» introdotto nel 1918. Con essa il potere sovietico cercò di far fronte alla crisi economica sopprimendo la requisizione forzata delle eccedenze cerealicole con un'imposta progressiva in natura e ripristinando le leggi del mercato, la libertà di commercio, l'economia monetaria e la piccola e media industria.
[10] Dal nome di Louis-Auguste Blanqui (1805-1881). Il più conosciuto comunista rivoluzionario francese dell'ottocento, prese parte alle rivoluzioni del 1830 e del 1848, e venne soprannominato «l'Enfermé» a causa dei trentatré anni che egli trascorse in prigione. In una lettera inviata a Louis Watteau nel novembre del 1861, Marx lo definì «il cervello e il cuore del partito proletario in Francia» (in Karl Marx - Friedrich Engels, opere complete, vol. 41, Editori Riuniti, Roma 1973, p. 669). Tuttavia la tradizione socialista -- tanto quella rivoluzionaria quanto quella riformista -- ci ha tramandato una visione riduttiva del «blanquismo», a torto identificato unicamente con la teoria dell'insurrezione armata ad opera di gruppi ristretti di cospiratori appositamente selezionati ed addestrati.
[11] Dal nome di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865). Celebre teorico anarchico francese, fautore di quello che Marx definì «socialismo borghese», le sue idee sulla cooperazione, sull'autonomia comunale, ecc. erano largamente diffuse in seno all movimento operaio ed esercitarono un'indubbia influenza sulla Comune di Parigi.
[12] Negli anni 1870-71 le tendenze blanquista e proudhoniana furono predominanti all'interno del proletariato parigino e della Comune di Parigi.
[13] Boris Lifshitz, detto Boris Souvarine (1893-1984). Nato a Kiev, emigrò in Francia nel 1906. Militante socialista, mobilitato allo scoppio della prima guerra mondiale, fece parte della minoranza «pacifista» capeggiata da Jean Longuet (1915) e aderì poi al Comité pour la Reprise des Rélations Internationales, formato durante il conflitto dagli avversari francesi dell'union sacrée appartenenti al movimento di Zimmerwald, e divenne segretario del Comité de la IIIe Internationale, nato nel maggio 1919. Giornalista di grande talento e direttore del Bulletin communiste, venne arrestato nel maggio del 1920. Membro della direzione del partito comunista francese e delegato
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presso il Comitato Esecutivo del Comintern a Mosca, sostenne Trotsky in occasione del XIII Congresso del partito bolscevico russo (maggio 1924). Espulso dal partito nel luglio di quello stesso anno, riprese la pubblicazione del Bulletin communiste e fondò il Cercle MarxLénine. Dopo aver rotto definitivamente con Trotsky nel 1929, animò il Cercle Communiste Démocratique, al quale Trotsky fa qui riferimento. Intellettuale di prestigio, fu il primo a scrivere una grande biografia di Stalin.
[14] In realtà una simile presa di posizione di Marx -- alla quale anche Lenin fece erroneamente riferimento nell'aprile del 1917 -- non compare nelle sue «Glosse marginali al programma del Partito operaio tedesco» del maggio 1875, il documento che divenne successivamente noto con il titolo Critica del Programma di Gotha. Il problema dell'imprecisione scientifica del termine «socialdemocrazia» venne comunque sollevato in forma esplicita da Engels nel gennaio del 1894, ma la questione si pose in tutta la sua acutezza ed urgenza al momento dello scoppio della prima guerra mondiale, allorché la maggioranza della socialdemocrazia internazionale tradì il socialismo a favore del socialpatriottismo schierandosi a favore dello sforzo bellico delle varie borghesie nazionali. In Russia, ad esempio, Lenin cominciò a parlare della necessità di adottare il nome «partito comunista» sul finire del 1914, ribadendola successivamente in varie occasioni a partire dall'aprile del 1917. Ma la decisione di cambiare la denominazione del partito russo venne adottata soltanto in occasione del suo VII Congresso, nel marzo del 1918.
[15] Hugo Urbahns (1890-1946). Insegnante, attivo nel partito socialdemocratico tedesco prima della guerra, adottò un atteggiamento pacifista e internazionalista che lo portò ad aderire al partito socialdemocratico indipendente (USPD). Con la maggioranza di tale formazione confluì nel 1920 nel partito comunista (KPD), dove fu uno degli esponenti di spicco dell'ala «sinistra», che rappresentò al IV Congresso dell'Internazionale comunista nel novembre-dicembre del 1922. Tra i dirigenti della federazione di Amburgo, giocò un ruolo importante nell'insurrezione scatenata dal KPD in quella città nell'ottobre del 1923, in seguito alla quale subì una condanna a due anni di detenzione. Eletto al Comitato Centrale del KPD nel 1925, fu poi criticato per i suoi legami con la frazione di Zinoviev e con l'opposizione Unificata sovietica ed espulso dal partito insieme ad Arkady Maslow e Ruth Fischer (novembre 1926). Partecipò poi alla creazione del Leninbund (aprile 1928), che raccoglieva gli zinovievisti e i trotskiati tedeschi. In seguito alle dimissioni di Maslow, della Fischer e di Werner Scholem (maggio 1928) divenne il leader principale del Leninbund, che per oltre un anno fu una specie di organizzazione sorella dell'Opposizione di Sinistra sovietica. Nella discussione apertasi in seguito al conflitto cino-sovietico per la ferrovia orientale in Manciuria (luglio 1929), Urbahns espresse importanti divergenze rispetto a due punti chiave della politica seguita dai raggruppamenti trotskisti: la natura dello stato sovietico, che egli qualificava come un «capitalismo di stato», e la politica di riforma dei partiti comunisti e del Comintern, alla quale egli contrapponeva la prospettiva immediata della creazione di nuovi partiti rivoluzionari e di una nuova Internazionale. Nella primavera del 1930 i seguaci di Trotsky presenti nel Leninbund abbandonarono l'organizzazione. Dopo la vittoria di Hitler, nel 1933, Urbahns si rifugiò dapprima in Cecoslovacchia, poi in Svezia, dove morì.
[16] Il concetto di «bonapartismo» è uno dei concetti centrali negli scritti trotskiani degli anni trenta. Egli utilizzò questo termine per definire una dittatura, o un regime avente alcune caratteristiche dittatoriali, in periodi in cui il dominio di classe era malfermo. Il bonapartismo si basa quindi sulla burocrazia militare, poliziesca o statale piuttosto che sui partiti parlamentari o su un movimento di massa. Trotsky riteneva ad esempio che i governi succedutisi in Germania dal 1930 fino alla vittoria di Hitler tre anni dopo fossero bonapartisti -- mentre gli stalinisti li definirono «fascisti» -- ed individuò due tipi di regime bonapartista: quello borghese e quello sovietico (staliniano).
[17] Franz von Papen (1879-1969). Ufficiale tedesco di origine aristocratica, durante la Repubblica di Weimar rappresentò nel parlamento prussiano l'estrema destra del Zentrum cattolico. Dal giugno al dicembre del 1932 aveva ricoperto la carica di Cancelliere, e nel gennaio del 1933 era diventato vice-Cancelliere nel governo di Hitler. Successivamente fu ambasciatore della Germania nazista in Austria e in Turchia. Sul banco degli accusati al processo di Norimberga, venne assolto nell'ottobre del 1946, ma fu poi immediatamente arrestato dalle autorità tedesche. Condannato ad otto anni di lavori forzati nel 1947, ottenne la libertà nel 1949 ma non prese più parte alla vita pubblica.
[18] Kurt von Schleicher (1882-1934). Ufficiale tedesco, fu uno degli esponenti più influenti della Reichswehr weimariana. Generale a partire dal 1928, favori l'ascesa del partito nazista. Ministro della difesa nel governo di von Papen, lo sostituì poi nel dicembre del 1932 alla carica di Cancelliere. Egli cercò allora di neutralizzare le crescenti ambizioni di Hitler, ma nel gennaio del 1933 l'accresciuta forza del nazismo lo costrinse alle dimissioni, che aprirono la strada alla dittatura nazista. Inviso al nuovo regime a causa della sua simpatia per l'opposizione anti-hitleriana in seno al partito, venne assassinato all'epoca della «notte dei lunghi coltelli».
[19] Engelbert Dollfuss (1892-1934). Uomo politico austriaco, iniziò la sua carriera nel partito cristiano-sociale e, nel 1931, entrò nel governo come ministro dell'agricoltura. Ammiratore di Mussolini, divenne Cancelliere nel maggio del 1932 e propugnò un programma di svolta autoritaria mirante a liquidare il regime parlamentare e a sostituirlo con uno stato corporativo-cristiano nel quale il ruolo centrale sarebbe stato attribuito al «Fronte patriottico» da egli fondato. Risolutamente contrario all'annessione dell'Austria alla Germania nazista, cercò di garantire l'indipendenza del paese con l'appoggio dell'Italia fascista. Oltre a far decretare lo scioglimento delle organizzazioni naziste austriache (primavera del 1933), rivolse la sua azione anche contro il movimento operaio e sindacale socialdemocratico, giungendo a soffocare nel sangue l'insurrezione degli operai di Vienna nel febbraio del 1934. Cinque mesi dopo venne assassinato nelcorso di un putsch organizzato da elementi nazisti austriaci.
[20] Hendrikus Colijn (1869-1944). Primo ministro olandese negli anni 1925-26 e 1933-39, manifestò forti tendenze bonapartiste.
[21] Con l'espressione «due Bonaparte» Trotsky intende qui riferirsi a Napoleone I (1769-1821), che fu imperatore di Francia dal 1804 al 1815, e a suo nipote Napoleone III (1808-1873), anch'egli imperatore di Francia negli anni 1852-70.
[22] Si tratta della prima guerra mondiale (1914-18).
[23] Sinonimo di «situazione intollerabile». Secondo la leggenda il bandito greco Damaste o Polypemone, soprannominato Procrustes («lo stiratore»), aggrediva i viandanti e li costringeva, allungandoli o accorciandoli, ad assumere la lunghezza del suo letto, provocandone in tal modo la morte.
[24] Kulak significa «pugno», in russo. Indica lo strato più agiato dei contadini, che prestavano denaro o davano in affitto terra, bestiame ed attrezzature ai contadini poveri.
[25] In realtà Lenin utilizzò l'espressione «capitalismo di stato» tra virgolette soltanto occasionalmente, in un numero piuttosto limitato di occasioni, in particolare nell'articolo «Sull'infantilismo di sinistra» e sullo spirito piccolo-borghese», del maggio 1918 (in V.I. Lenin, Opere complete, vol. 27, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 304, 305 e 311).
Ad onor del vero, va anche detto che Lenin aveva usato il termine «capitalismo monopolistico di stato» già nell'opuscolo «La catastrofe imminente e come lottare contro di essa», del settembre 1917 (Idem, vol. 25, pp. 341-341). In seguito egli affrontò il problema del capitalismo di stato nel «Rapporto sui compiti immediati del potere sovietico» presentato nell'aprile del 1918 in occasione della riunione del Comitato Esecutivo Centrale panrusso (Idem, vol. 27, pp. 262 sgg.) e nell'articolo già citato del maggio 1918, dove annoverò il capitalismo di stato tra gli «elementi che rappresentano i diversi tipi economicosociali» presenti nella Russia sovietica (Ibidem, p. 305).
Successivamente ritornò sulla questione in varie occasioni: nell'opuscolo «Sull'imposta in natura», dell'aprile 1921 (Idem, voi. 32, pp. 324 sgg.); nella sua relazione su «La Nuova Politica Economica», letta nell'ottobre del 1921 alla VII Conferenza della federazione moscovita del partito (Idem, vol. 33, pp. 77 sgg.); nel «Rapporto politico del Comitato Centrale del PC(b)R» presentato nel marzo del 1922 all'XI Congresso del partito e nel relativo discorso di replica (Ibidem, pp. 252-253, 281 e 283); ed infine nella relazione su «Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale», letta il 13 novembre 1922 durante il IV Congresso del Comintern (Ibidem, pp. 384-387 e 393).
In quella stessa occasione, il 14 novembre, Trotsky aveva presentato una «Relazione sulla nuova politica economica sovietica e sulle prospettive della rivoluzione mondiale» nella quale si può leggere: «La pretesa "capitolazione" del potere sovietico di fronte al capitalismo è dedotta (...) non da un'analisi dei fatti e delle statistiche, ma da vaghe generalità, il più delle volte dal termine "capitalismo di stato" che usiamo riferendoci alla nostra economia. Secondo la mia opinione questo termine non è esatto né felice. Il compagno Lenin ha già sottolineato nella sua relazione la necessità di usare questo termine tra virgolette. (...) Se si parla di capitalismo di stato, lo si fa tra molte virgolette (...). Perché? Per una ragione molto ovvia. Quando si usa questo termine, non è ammissibile ignorare la natura di classe dello stato» (in Lev Trotsky, Problemi della rivoluzione in Europa. I primi anni dell'Internazionale Comunista, Mondadori, Milano 1979, p. 346). Se è vero che nella relazione di Lenin -- così come è stata pubblicata -- non vi è alcun riferimento alla necessità di usare le virgolette (ma Lenin vi sostenne comunque che quello sovietico era un «capitalismo di stato particolare» che non corrispondeva al «concetto ordinario di capitalismo di stato»), è quindi altrettanto indiscutibile che Trotsky non sostenne tale ipotesi unicamente «dopo la morte di Lenin», come è stato talvolta insinuato.
[26] Sul Leninbund si veda la nota 15.
[27] Otto Maschi, detto Lucien Laurat (1898-1977). Uno dei fondatori del partito comunista austriaco, collaborò con l'Internazionale Comunista e, dietro insistenza di Bukharin, venne nominato professore di economia politica presso l'Università dei Popoli d'Oriente a Mosca. Dopo aver rotto con il leninismo a favore di un miscuglio di socialdemocratismo e di luxemburghismo nel corso del 1924, lasciò l'Unione Sovietica nel 1927 e si trasferì poi definitivamente a Parigi, dove aderì al Cercle Marx-Lénine fondato da Souvarine. In seguito entrò nel partito socialista francese ed animò il gruppo raccolto attorno al periodico Le Combat marxiste, il cui obiettivo era quello di «raddrizzare» la socialdemocrazia francese e che, dietro il paravento del «luxemburghismo», favoriva l'anticomunismo e sosteneva le idee del planisme di Henrí de Man, delle quali Laurat fu uno dei principali teorici in Francia.
Nel 1931 aveva pubblicato presso la parigina Librairie Valois uno studio su L'economie soviétique. Sa dynamique, son mécanisme, che è il
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lavoro cui Trotsky fa qui riferimento. In esso egli cercò di dimostrare che «l'oligarchia burocratica dell'URSS è proprio una classe, il cui reddito proviene dallo sfruttamento della popolazione». Pur riconoscendo che il merito di tale scoperta spettava a Boris Souvarine, egli rivendicò a sé il merito di aver analizzato i meccanismi di funzionamento della società sovietica, attraverso i quali la burocrazia staliniana sfruttava i lavoratori.
[28] Léon Blum (1872-1950). Membro del partito socialista francese a partire dal 1899, fu eletto deputato nel 1919 e, un anno dopo, divenne presidente del partito. Si oppose all'adesione di quest'ultimo all'Internazionale Comunista, decisa in occasione del congresso di Tours (dicembre 1920). In seguito si dedicò alla riorganizzazione delle file socialiste, divenendone la guida intellettuale. Capeggiò l'opposizione ai governi di destra di Millerand e di Poincaré e, nel 1924, appoggiò il cartello delle sinistre guidato da Herriot. Giocò un ruolo di primo piano all'interno dell'Internazionale operaia e Socialista (nuovo nome adottato dalla Seconda Internazionale al momento della sua riorganizzazione postbellica, nel maggio del 1923), dove sostenne la corrente riformista di sinistra. Favorevole all'unità d'azione con i comunisti, capeggiò il primo governo di Fronte Popolare in Francia nel 1936-37. Sostenne una politica di resistenza alla Germania nazista e nel 1940 votò a Vichy contro la concessione dei pieni poteri al maresciallo Pétain. Arrestato e processato, venne poi consegnato ai tedeschi che lo deportarono a Buchenwald. Liberato nel maggio del 1945, tornò ad essere il massimo dirigente del socialismo francese e nel 1946 formò per breve tempo un governo di transizione che favori la ricostruzione capitalistica del secondo dopoguerra.
[29] Karl Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica, 5 voll., Einaudi, Torino 1975.
[30] Jan Vaclav Machajski (1866-1926). Socialista russo-polacco deportato a Yakutsk (Siberia) sotto il regime zarista, sul finire del secolo scorso fu l'ispiratore di un movimento anti-marxista vicino all'anarchismo che cercò una base negli elementi più declassati della società (Lumpenproletariat e strati inferiori del proletariato). Secondo Machajski il comunismo scientifico costituiva un mostruoso imbroglio ai danni dei proletari e l'intellighenzia era una classe parassitaria che deteneva il monopolio della conoscenza e che, basandosi sull'ideologia marxista, cercava di conquistare il potere per se stessa. Il movimento fece la sua prima apparizione pubblica nel 1902 a Irkutsk, con un proclama per il Primo Maggio, e si diffuse poi a Bialystock, Ekaterinoslav, Odessa, Varsavia e San Pietroburgo. All'inizio degli anni venti le idee di Machajski influenzarono i primi raggruppamenti clandestini d'opposizione nella Russia sovietica, ed in particolare il Gruppo Operaio di Myasnikov.
[31] K. Marx, Op. cit., vol. 3 (Libro secondo: «Il processo di circolazione del capitale»), pp. 479 sgg.
[32] Gavril I. Myasnikov (1889-1946). Operaio, bolscevico dal 1906, fu un fautore della creazione di «sindacati contadini» nel 1920 e della libertà di parola e di stampa per qualsiasi partito, ivi compresi quelli borghesi e controrivoluzionari. Venne espulso dal partito bolscevico russo nel febbraio del 1922 per averne violato la disciplina -- cioè, per l'esattezza, la proibizione della formazione di frazioni che era stata decretata dal X Congresso nel marzo del 1921 -in veste di capo del Gruppo Operaio, nato dalla sua rottura con l'opposizione Operaia di Aleksandra Kollontay e di Aleksandr Shlyapnikov. Arrestato nel maggio del 1923 e liberato dopo alcuni mesi, venne autorizzato a recarsi in Germania e fu poi nuovamente arrestato al suo rientro in URSS. Imprigionato nel 1927 a Tomsk, venne deportato agli inizi del 1928 ad Erevan, da dove evase nel novembre di quell'anno e raggiunse la Persia. Qui venne arrestato dietro pressione
della diplomazia staliniana e detenuto per sei mesi. Espulso dalla Persia nel maggio 1929, venne consegnato nelle mani della polizia turca. Un mese dopo egli avviò dei negoziati con il consolato sovietico di Trebisonda in vista di un suo ritorno in URSS, offrendo la propria astensione da ogni attività politica in cambio di garanzie circa l'inviolabilità della sua persona. Nello stesso periodo cercò un'intesa con Trotsky, ma le divergenze politiche erano troppo profonde per permettere una qualsiasi collaborazione.
[33] Rosa Luxemburg (1871-1919). Di origine polacca, militò nel movimento socialista polacco, svizzero e tedesco. Tra i dirigenti della socialdemocrazia del regno di Polonia (1893) ed in seguito anche di Lituania (1899), partecipò al IV Congresso della Seconda Internazionale svoltosi a Londra nel luglio-agosto del 1896 e collaborò alla rivista Die Neue Zeit diretta da Kautsky. Nel 1898 si trasferì a Berlino, dove scrisse per la stampa della socialdemocrazia tedesca e prese parte alla polemica contro il revisionismo di Bernstein. Nello stesso periodo fu, con Bebel e Kautsky, tra i principali difensori dell'«ortodossia» second'internazionalista. Criticò le concezioni organizzative «blanquiste» di Lenin nel 1903, ed i suoi rapporti con il bolscevismo russo attraversarono fasi contraddittorie. Insegnante di economia alla scuola di partito della socialdemocrazia tedesca a partire dal 1907, ruppe poi con il centrismo kautskiano e si schierò con la minoranza internazionalista del partito che criticava la capitolazione socialpatriottica alla borghesia della maggioranza al momento dello scoppio della grande guerra (agosto 1914). Durante il conflitto fu tra i fondatori e dirigenti del gruppo «Die Internationale» e dello Spartakusbund, che aderì poi al partito socialdemocratico indipendente (USPD) fondato nel 1917. Imprigionata a più riprese, dopo la sua liberazione, dovuta al crollo dell'Impero tedesco nel novembre del 1918, cercò di spingere l'USPD alla radicalizzazione mentre la socialdemocrazia «ufficiale» si preparava a sventare il «pericolo bolscevico» in Germania con la repressione. Tuttavia di fronte alle tergiversazioni dell'USPD gli «spartachisti» abbandonarono tale partito e, con i «radicali di sinistra» filobolscevichi di Brema e di Amburgo, alla fine del 1918 fondarono il partito comunista (KPD), del quale ella fu uno dei leaders principali. All'inizio di gennaio del 1919 la destituzione del questore di Berlino, membro dell'USPD, provocò la rivolta dei militanti dell'USPD stesso e del KPD. Arrestata pochi giorni dopo insieme a Karl Liebknecht, la Luxemburg venne con questi assassinata dalla polizia del «socialista» Gustav Noske.
[34] Con tale espressione Trotsky fa riferimento sia all'opposizione di Sinistra sovietica, cioè alla frazione creata da Trotsky all'interno del partito bolscevico russo nell'ottobre del 1923 per combattere la troika Sta lin-Zinoviev-Kamenev, sia all'Opposizione di Sinistra Internazionale (OSI), la denominazione assunta dal movimento trotskista mondiale nell'aprile del 1930 e mantenuta fino al settembre del 1933.
[35] Simone Weil (1909-1943). Professoressa di filosofia, simpatizzò per qualche tempo con l'organizzazione trotskista francese e con altre formazioni di estrema sinistra. A quell'epoca collaborava con la rivista di Monatte, La Révolution prolétarienne, che nell'agosto del 1933 aveva pubblicato un suo articolo dal titolo «Perspectives: allons-nous vers la révolution prolétarienne?», cui Trotsky fa qui riferimento. In esso la Weil aveva sostenuto che l'URSS staliniana non poteva essere considerata uno stato operaio degenerato -- come invece sosteneva Trotsky --, bensì una nuova formazione sociale frutto dell'integrazione tra burocrazia e tecnocrazia. Organizzatrice dei disoccupati nel 1934 ed operaia alle officine Renault a partire dalla fine di quello stesso anno, ella si recò poi in Spagna nel 1936, dopo lo scoppio della guerra civile. Nel 1937, a Solesmes, visse un'improvvisa e decisiva esperienza mistico-religiosa. Traferitasi a Marsiglia dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale e perseguitata
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nella Francia di Vichy, nel 1942 accompagnò la famiglia negli Stati Uniti e raggiunse poi Londra. Minata dalla tubercolosi e dai digiuni che si autoinfliggeva, venne infine ricoverata nel sanatorio di Ashford, dove morì.
[36] Robert Louzon (1882-1976). Militante socialista e sindacale a partire dal 1900 e mecenate della Conféderation Générale du Travail prima della guerra, fu attivo in Tunisia a partire dal 1913, dove rivestì la carica di segretario federale del partito socialista e, successivamente, del partito comunista fino alla sua espulsione da quel paese, nel 1922. Collaboratore de La vie ouvrière (1919-1921) e redattore de 1'Humanité, si dimise dal partito francese alla fine del 1924 per solidarietà con Alfred Rosmer e Pierre Monatte, espulsi nel corso della campagna zinovievista-staliniana di «bolscevizzazione». Insieme a Monatte fondò nel 1925 la rivista «sindacalista comunista» La Révolution prolétarienne e militò nella Ligue Syndicaliste.
[37] Il termine «centrismo» venne utilizzato da Trotsky per definire quelle tendenze del movimento operaio che oscillavano tra il riformismo, espressione della burocrazia e dell'aristocrazia operaie, e il marxismo, che rappresenta gli interessi storici del proletariato.
Fino al 1935 Trotsky individuò tre tendenze fondamentali all'interno dell'Internazionale Comunista: la sinistra da egli diretta; la destra capeggiata da Bukharin, Rykov e Tomsky, che a livello sociale rifletteva le pressioni della borghesia e della piccola-borghesia e, sul piano politico, quelle della socialdemocrazia; ed il «centro» staliniano che, essendosi impadronito dell'apparato statale e di partito in URSS e del Comintern, esprimeva gli interessi e le aspirazioni della nuova casta burocratica dominante. Di qui il termine «centrismo burocratico», utilizzato da Trotsky per indicare la frazione staliniana tanto nell'Internazionale quanto all'interno dei vari partiti comunisti.
In seguito, sulla scia dell'adozione della politica dei Fronti Popolari da parte del VII Congresso del Comintern (luglio-agosto 1935), egli ritenne che tale definizione non fosse più adeguata per descrivere la burocrazia sovietica, ormai passata definitivamente nel campo del riformismo. In una lettera indirizzata il 10 ottobre 1937 a James P. Cannon, Trotsky affermò che: «Alcuni compagni continuano a caratterizzare lo stalinismo come "centrismo burocratico". Tale caratterizzazione è ora del tutto obsoleta. Nell'arena internazionale lo stalinismo non è più un centrismo, bensì la forma più vistosa di opportunismo e di socialpatriottismo. Basti guardare alla Spagna!»
[38] I bolscevico-leninisti russi erano i membri dell'organizzazione trotskista sovietica, che all'epoca erano in maggioranza deportati in varie località dell'URSS staliniana.
[39] Con il termine «austromarxismo» viene indicata l'eterogenea variante austriaca del riformismo socialdemocratico sorta agli inizi del secolo, i cui maggiori esponenti furono Otto Bauer, Karl Renner, Max Adler e Rudolf Hilferding.
[40] Christian Georgevich Rakovsky (1873-1941). Bulgaro di nascita e socialdemocratico a partire dagli anni novanta del secolo scorso, militò in Svizzera, Bulgaria, Germania, Francia, Romania e Russia. Su posizioni internazionaliste rivoluzionarie durante la prima guerra mondiale, dopo la Rivoluzione d'Ottobre aderì al partito bolscevico e fu poi tra i fondatori del Comintern. Nominato presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo dell'Ucraina nel marzo del 1918, a partire dal 1919 fu membro del Comitato centrale del partito bolscevico russo. Dopo aver rappresentato l'URSS alla Conferenza di Genova (aprile-maggio 1922), nell'aprile del 1923 si oppose alla politica nazionale di Stalin in occasione del XII Congresso del partito e, nel luglio di quello stesso anno, si vide affidare importanti.incarichi di natura diplomatica, miranti però ad allontanarlo da Mosca e ad iso-
larlo. Tra i principali esponenti dell'opposizione di sinistra, fu incaricato d'affari del governo sovietico a Londra a partire dal settembre del 1923 ed ambasciatore a Parigi dal dicembre del 1925 all'ottobre del 1927. Richiamato in patria, prese parte attiva alle battaglie politiche dell'opposizione trotskista. Nel gennaio del 1928 fu deportato ad Astrakhan, poi a Saratov, nel corso del 1929, ed infine a Barnaul (Kazakhstan), dove nel febbraio del 1934 capitolò alla «linea generale» staliniana. Rimesso in libertà e sottoposto a pressioni di ogni genere, venne poi arrestato nella seconda metà del 1937, ma per diversi mesi rifiutò di cooperare con gli inquisitori staliniani prima di cedere nuovamente. Dal banco degli accusati del terzo grande processo di Mosca (marzo 1938) si autoaccusò di aver svolto un'attività antisovietica a favore della Germania nazista. Condannato a vent'anni di detenzione, Rakovsky sopravvisse ancora per circa tre anni e trovò infine la morte in un GuLag, fucilato per ordine di Stalin all'indomani dell'aggressione hitleriana contro l'URSS.
[41] Trotsky fa qui riferimento al discorso pronunciato da Stalin il 1° agosto 1927 in occasione della sessione plenaria del Comitato Centrale e della Commissione Centrale di Controllo del partito comunista (bolscevico) dell'URSS, nel corso del quale questi aveva affermato che: «Per "spazzar via" una maggioranza di questo genere [cioè la maggioranza staliniana del Comitato Centrale] bisogna scatenare una guerra civile nel partito» («La situazione internazionale e la difesa dell'URSS. Discorso del 1° agosto», in J.V. Stalin, opere complete, vol. 10, Edizioni Rinascita, Roma 1956, p. 64).
[42] Il XII Congresso del partito comunista (bolscevico) russo si svolse nell'aprile del 1923.
[43] Karl Kautsky (1854-1938). Uno dei massimi dirigenti e teorici della socialdemocrazia tedesca e della Seconda Internazionale, aderì al comunismo verso il 1880 e, l'anno seguente a Londra, conobbe Marx ed Engels. Stabilitosi definitivamente in Germania, fu uno dei fondatori della rivista Die Neue Zeit, che diresse fino al 1917. Curatore della parte teorica del Programma di Erfurt (1891), si oppose al revisionismo di Bernstein. Su posizioni «centriste» negli anni 1909-10, nel 1914 si schierò inizialmente su posizioni socialpatriottiche, che poi abbandonò a favore di un centrismo pacifista. Nell'aprile del 1917 fu tra i fondatori del partito socialdemocratico indipendente (USPD). Critico implacabile della rivoluzione bolscevica e contrario all'adesione dello USPD al Comintern, fu tra i promotori della cosiddetta Internazionale Due e mezzo, della quale favorì nel 1923 la riunificazione con la Seconda Internazionale. Politicamente isolato nei primissimi anni venti ed approdato a posizioni via via più anticomuniste, nel 1923 si trasferì a Vienna, dove si dedicò allo studio e pubblicò le sue ultime opere, e successivamente ad Amsterdam, dove morì.
[44] Si tratta forse di un'allusione ironica all'astronomo olandese Anton Pannekoek (1873-1960), uno dei principali teorici del «comunismo dei consigli».
[45] Herman Gorter (1864-1927). Poeta e rappresentante di punta del marxismo in Olanda, aderì al partito socialdemocratico nel 1896. Avversario del revisionismo e fautore dello «sciopero di massa», venne espulso nel 1909 e fondò un'organizzazione alla sinistra del partito ufficiale. Oppositore della guerra nel 1914, aderì alla sinistra zimmerwaldiana e, nel 1918, fu uno dei fondatori del partito comunista olandese. Trasferitosi in Germania sul finire di quello stesso anno, divenne con Otto RUhle la personalità più brillante della sinistra del partito comunista tedesco. Membro del Bureau di Amsterdam dell'Internazionale Comunista, nel 1919-20 entrò in conflitto con gli organismi dirigenti di quest'ultima a causa delle sue posizioni di tipo settario. Nell'aprile del 1920 fu tra gli artefici della crea-
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zione del partito operaio comunista tedesco (KAPD), del quale fu il principale teorico. Mori durante un viaggio in Belgio.
[46] Si tratta del Kommunistische Arbeiterpartei Deutschlands (KAPD), formato nell'aprile del 1920 dai comunisti «di sinistra» che erano stati espulsi dal partito comunista tedesco in occasione del suo II Congresso, svoltosi a Heidelberg nell'ottobre 1919. Diretto da personalità quali Gorter e Pannekoek, sul finire del 1920 venne accettato dall'Internazionale Comunis-ta come sezione simpatizzante, fermo restando lo status di sezione a pieno titolo del partito ufficiale. Al III Congresso del Comintern (giugno-luglio 1921) la delegazione del KAPD cercò di cristallizzare un'opposizione «marxista rivoluzionaria» per lottare contro l'«opportunismo» delle ventuno condizioni di ammissione all'Internazionale (viste come un tentativo di «russificare» i partiti comunisti sottomettendoli al controllo di uno stato ancora «sostanzialmente borghese») e della tattica della «lettera aperta» (fronte unico). Tuttavia, fallito questo tentativo e posti di fronte all'ultimatum di Radek e Zinoviev, che chiedevano un'immediata fusione del KAPD con il partito ufficiale, i «sinistri» decisero di creare un organismo internazionale concorrente, la Kommunistísche Arbeiter Internationale. Tale scelta diede luogo a polemiche che si protrassero fino alla scissione del KAPD del marzo 1922, scissione che divise a metà il partito privandolo della notevole influenza di cui aveva precedentemente goduto all'interno del movimento operaio tedesco.
[47] Fernand Loriot (1870-1932). Insegnante e sindacalista, fu uno dei dirigenti dell'ala sinistra del partito socialista francese e, nel 1914-15, si oppose alla politica dell'union sacrée, aderendo alla sinistra zimmerwaldiana. Tra i fondatori del partito comunista, del quale fu segretario internazionale negli anni 1921-22, nel 1925 si oppose alla linea ufficiale e ne venne espulso nel 1926. Partecipò poi alla creazione del gruppo raccoltosi nel novembre del 1927 attorno alla rivista Contre le Courant, con il quale ruppe nel 1928 dopo essere ritornato su posizioni sindacaliste rivoluzionarie. Negli ultimi anni della sua vita aderì alla Ligue Syndicaliste e collaborò con La Révolution prolétarienne.
[48] Karl Korsch (1886-1961). Filosofo tedesco, nel 1919 aderì al partito socialdemocratico indipendente (USPD) e, l'anno seguente, al partito comunista unificato. Ministro del governo socialcomunista della Turingia nel 1923, fu poi tra i partecipanti al fallito tentativo insurrezionale dell'ottobre di quell'anno e nel 1924-25 diresse la rivista teorica dei comunisti tedeschi, Die Internationale. Espulso dal partito nel 1926 per le posizioni eterodosse da egli espresse tre anni prima nel suo libro Marxismo e filosofia, negli anni 1928-30 si orientò verso la corrente settaria del «comunismo di sinistra» e nel 1933 dovette abbandonare la Germania ed emigrare dapprima in Gran Bretagna, poi in Danimarca ed infine negli Stati Uniti, dove morì.
[49] L'abbandono da parte di Trotsky della prospettiva di riforma dell'Internazionale Comunista stalinizzata era proceduto di pari passo con un crescente interesse per le formazioni centriste di sinistra, provenienti soprattutto dalle file della socialdemocrazia (giugno-luglio 1933). Tali organizzazioni erano all'epoca raccolte in due correnti a livello europeo: (a) Il Bureau Internazionale di Informazione dei Partiti Rivoluzionari Socialisti, noto in seguito come «Bureau di Parigi», nato nel dicembre del 1924 come frutto del rifiuto di una serie di partiti precedentemente affiliati all'Unione dei Partiti Socialisti per l'Azione Internazionale (o «Unione di Vienna», nota anche come Internazionale Due e mezzo) di rientrare nella Seconda Internazionale, nel maggio del 1923, per dar vita all'Internazionale Operaia e Socialista (IOS); e (b) la Internationale Arbeitsgemeinschaft (IAG - - Comunità di Lavoro Internazionale), fondata nel maggio del 1932 da una serie di organizzazioni uscite dall'IOS su posizioni di sinistra. Queste due correnti socialdemocratiche di sinistra avevano poi costi-
tuito di fatto un'unica tendenza in seguito alla conferenza delle formazioni socialiste di sinistra svoltasi a Parigi nell'agosto del 1933.
Nel corso del 1934 il delinearsi della svolta del Comintern in direzione della politica dei Fronti Popolari, che prefigurava una politica unitaria per l'insieme del movimento operaio, ebbe tra l'altro l'effetto di bloccare l'ulteriore evoluzione dei raggruppamenti socialisti di sinistra in direzione di una rottura definitiva con l'IOS socialdemocratica e con il Comintern staliniano.
[50] Si tratta del Revolutionair Socialistische Partij (RSP), formato nel febbraio del 1929 in seguito all'espulsione di Hendrikus Sneevliet e di altri oppositori dalle file del partito comunista olandese. Basato su un proprio sindacato, nel maggio-giugno del 1932 il RSP aveva lanciato l'idea di costruire un fronte unico proletario contro il fascismo e la guerra. Nell'agosto del 1933 esso partecipò a Parigi alla conferenza delle organizzazioni socialdemocratiche di sinistra convocata dall'Internationale Arbeitsgemeinschaft e sottoscrisse la «Dichiarazione dei quattro» redatta da Trotsky, che proclamava la necessità di costruire una nuova Internazionale. Nella primavera del 1934 il RSP avrebbe aderito al Movimento per la Quarta Internazionale per poi unificarsi, nel marzo dell'anno seguente, con l'Onafhankelijke Socialistische Partij (OSP -- Partito Socialista Indipendente), dando così vita al Revolutionair Socialistische Arbeiders Partij (RSAP -Partito operaio Socialista Rivoluzionario), sezione olandese del-movimento trotskista.
[51] In occasione della conferenza delle organizzazioni socialiste di sinistra svoltasi a Parigi nell'agosto del 1933, alla quale prese parte anche una delegazione dell'opposizione di Sinistra Internazionale (OSI) trotskista, tre delle formazioni presenti avevano sottoscritto con quest'ultima una «Dichiarazione sulla necessità e sui principi di una nuova Internazionale» redatta da Trotsky e più volte emendata. Il «Blocco dei quattro», cui Trotsky fa qui allusione, era formato dall'OSI, dal Sozialistische Arbeiterpartei (SAP) tedesco, dal Revolutionair Socialistische Partij (RSP) e dall'Onafhankelijke Socialistische Partij (OSP) olandesi. Esso rappresentò ai suoi occhi l'unico risultato positivo di quella conferenza e sembrò confermare la possibilità di coinvolgere i centristi di sinistra nel lavoro di costruzione della Quarta Internazionale.
Nei giorni e nelle settimane successive Trotsky cercò di consolidare tale blocco esortando il SAP alla fusione con i bolscevico-leninisti tedeschi e 1'OSP all'unificazione con il RSP, e di spingere l'Independent Labour Party (ILP) verso la lotta per una nuova Internazionale attraverso l'ingresso dei trotskisti britannici nelle sue file. Nello stesso tempo egli si preoccupò di avviare un lavoro di ulteriore definizione delle basi programmatiche del blocco. Il presente studio rappresentava evidentemente un passo in tale direzione.
Tuttavia le cose non procedettero nel senso sperato. Le divergenze politiche tra il movimento trotskista ed il SAP cominciarono a manifestarsi sin dall'ottobre del 1933, mentre l'unificazione tra i due partiti olandesi appariva ancora lontana. La «Preconferenza dei quattro», che si tenne clandestinamente a Parigi alla fine di dicembre del 1933, costituì un'occasione per verificare l'accordo politico realmente esistente. Ma i risultati di tale verifica furono alquanto deludenti, soprattutto nella misura in cui il SAP e l'OSP rifiutarono di rompere i loro legami con il «Bureau di Londra» centrista e di impegnarsi attivamente nella battaglia per la nuova Internazionale. Un'ulteriore assise delle quattro organizzazioni, prevista per il febbraio del 1934, non ebbe mai luogo. In quello stesso mese, anzi, il SAP si staccò definitivamente dal blocco.
[52] Si tratta delle formazioni politiche elencate alla nota precedente.
[53] Riferimento alla «Dichiarazione sulla necessità e sui principi di una nuova Internazionale» -- nota anche come «Dichiarazione dei quattro» --, redatta da Trotsky allo scopo di dar vita ad un polo rivoluzionario nell'ambito della conferenza parigina delle organizzazioni socialiste di sinistra dell'agosto 1933. Più volte emendata, la sua versione definitiva reca la data del 26 agosto 1933.
Il suo testo originale in lingua russa venne pubblicato, sotto il titolo «Rezolyutsiya o neobkhodimosti novogo Internatsionala i ego printsipakh» [«Risoluzione sulla necessità di una nuova Internazionale e sui suoi principi»], nel Biulleten Oppozitsii, n. 36-37, ottobre 1933. Il periodico The Red Flag, n. 6, ottobre-novembre 1933, ne propose una versione in lingua inglese riveduta dallo stesso Trotsky.
[54] L'Humanité era l'organo del partito comunista (staliniano) francese.
[55] Neologismo derivante dal nome di Henri Barbusse (1873-1935). Famoso letterato francese, nel 1916 aveva pubblicato il romanzo Le Feu e l'anno successivo era stato tra gli artefici della creazione dell'Association Républicaine des Anciens Combattants. Fondatore della rivista Clarté (1918), aveva aderito al partito comunista nel 1923 ma era rimasto imbevuto di spirito pacifista e cristiano. Nel giugno del 1928 aveva lanciato il prestigioso settimanale Monde. Fu la figura di punta dei congressi internazionali contro la guerra (agosto 1932) e contro il fascismo (giugno 1933) organizzati da Willi MUnzenberg per conto dell'Internazionale Comunista stalinizzata. Mori a Mosca durante i lavori del VII Congresso del Comintern.
[56] All'epoca in cui Trotsky scrisse il presente articolo, la Quarta Internazionale non era ancora stata ufficialmente fondata. Nel suo primo triennio di esistenza, l'Opposizione di Sinistra Internazionale (OSI) aveva perseguito una prospettiva di riforma del Comintern staliniano. Tale prospettiva era stata abbandonata soltanto in tempi recentissimi e, parallelamente all'avvio della lotta per una nuova Internazionale (giugno-luglio 1933), nel settembre di quell'anno l'OSI aveva modificato il proprio nome in Lega Comunista Internazionalista (bolscevico-leninista). Quest'ultima avrebbe in seguito adottato la denominazione di Movimento per la Quarta Internazionale (luglio 1936). La Quarta Internazionale (Partito Mondiale della Rivoluzione Socialista) sarebbe stata infine fondata nel settembre del 1938.