Da: redazione [redazione@rottacomunista.org]
Inviato: lunedì 1 dicembre 2003 9.14
A: Redazione Rc
Oggetto: Lotta Comunista ed i suoi scissionisti (Pagine Marxiste). Per cancellarsi da questa lista rispondi in oggetto: "cancellami"
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Da qualche tempo, è ormai noto, un gruppo di aderenti a Lotta Comunista milanesi ha scisso le proprie responsabilità da quelle di Lotta Comunista.
Gli scissionisti hanno pubblicato "Pagine Marxiste". L'oggetto immediato del contendere è stato rappresentato dalla posizione (si fa per dire) di Lotta Comunista che ritiene l'imperialismo europeo un processo praticamente compiuto. Sulla base di questa trovata Lotta Comunista sviluppa un'opposizione all'imperialismo europeo, fumosa ed aleatoria ma, soprattutto, giustifica un assenza di opposizione all'imperialismo italiano divenuta macroscopica (non la si può dichiarare opportunistica solo perché ininfluente, come è certo invece lo sia la concezione che la sorregge) durante il G8 e con l'intervento militare italiano in Iraq. Su questa questione di non poco conto è avvenuta la scissione milanese.
 
Questa scissione giustifica, almeno parzialmente, il fatto che ci si sia occupati in questa sede di Lotta Comunista, nonostante da più parti, con fondati motivi, non se comprendesse l'utilità.
 
Di questa scissione, in ogni caso e comunque, non può essere imputato alcun merito, né alcuna colpa, a Rotta Comunista. E' infatti sufficiente una lettura di Pagine Marxiste per comprendere come i milanesi siano usciti con le gambe prima ancora che con la testa, ma chiunque abbia avuto una qualsiasi esperienza in Lotta Comunista comprenderà come, nella stragrande maggioranza dei casi, non possa essere che essere così. A Milano non sono usciti quattro simpatizzanti, ma un folto numero di aderenti che hanno partecipato attivamente alla vita di Lotta Comunista. Per Lotta Comunista non riconoscere l'esistenza dell'imperialismo europeo (!!!) significa di fatto non riconoscere il Pastorino-La Barbera pensiero, dunque rinnegare Cervetto-Parodi, Lenin e  Marx ed Engels (il PastoLab pensiero lascia in sospeso i soli comunisti utopisti a causa dell'aggettivo che inopinatamente li qualifica rendendoli inappropriabili).
Insomma per Lotta Comunista non riconoscere l'esistenza compiuta dell'imperialismo europeo (!!!) significa essere fuori.
(Ciò sarebbe valso anche  quando il PastoLab pensiero previde scientificamente che l'Italia
 non sarebbe mai riuscita ad entrare nell'euro, ma nessuno raccolse questa tremenda sfida).
Essere fuori, non perché Lotta Comunista voglia sprecare qualcuno escludendolo dalla raccolta finanziaria, ma perché non vuol che questi ragioni e discuta il proprio punto di vista, perché resti e si senta un isolato.
Bene quindi hanno fatto i milanesi a sancire l'idiozia del PastoLab pensiero, a renderlo inefficace con un atto collettivo, politico, con una scissione.
Confessiamo anche, qui di aver fatto carico ai milanesi di attese che l'oggetto del contendere non ammetteva. Il dissenso politico sulle posizioni di Lotta Comunista in merito all'imperialismo europeo, può essere ritenuto tale solo eufemisticamente, essendo quella di Lotta Comunista, più che una posizione politica, una vera e propria idiozia. Di politico, in questa posizione non c'è che il fatto che i compagni milanesi l'abbiano impugnata con una scissione, dunque rendendola tale.
Diciamo a questi compagni che non sarà dalla critica a queste posizioni di Lotta Comunista che ne usciranno con la testa oltre che con i piedi. E' necessario che riconsiderino non tanto la propria esperienza in Lotta Comunista quanto tutta l'esperienza di Lotta Comunista.
 
Avendo avuto modo di conoscere alcuni esponenti degli scissionisti milanesi, abbiamo steso, nero su bianco, alcune osservazioni da cui abbiamo estratto il breve testo in cui riassumiamo la vicenda Lotta Comunista - capitalismo di Stato, perché, indipendentemente dall'avvenuta scissione, riteniamo comunque utile evidenziare alcuni aspetti teorici che devono precedere ogni considerazione pratico-organizzativa, su Lotta Comunista.
 
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Il nostro lavoro è partito da una inequivocabile prima constatazione:  Fallimento Politico

 Non è stata solo Lotta Comunista a fallire ogni obiettivo propostosi dalla sua costituzione in poi. Lotta Comunista ha fallito i propri compiti come li ha falliti qualsiasi altra formazione di tradizione antistalinista.  Ciò la rende indistinguibile dalle altre formazioni. Le buone intenzioni, la volontà anche positiva, il duro lavoro prodotto dai suoi aderenti non la distinguono dalle altrui, fossero anche minori o peggiori buone intenzioni, dalle altrui volontà anche positive, dall’altrui lavoro.
Per cause storiche ogni obiettivo, che distingueva gli antistalinisti tradizionali, che ne faceva dei leninisti, dei trotzkisti, dei consiliaristi, dei bordighisti, aveva necessariamente in comune l’elemento che li caratterizzava rispetto al vecchio PCI ed alle formazioni riformiste, l’antistalinismo. Nessuno degli obiettivi dichiarati poteva essere raggiunto senza battere lo stalinismo. Il decesso per cause naturali dello stalinismo ha sancito definitivamente il fallimento dell’antistalinismo tradizionale, che si è rivelato inutile, dunque dannoso, almeno per la classe operaia.
Non parliamo qui soltanto dello stalinismo URSS. Parliamo precisamente di quello italiano. Nonostante l’antistalinismo tradizionale avesse combattuto per decenni lo stalinismo, questi poteva dichiarare bancarotta al solo scopo di risorgere ad indisturbata altra vita. Nessuna delle formazioni antistaliniste a saputo o potuto, svolgere il ruolo cui si era predestinata, assumere un ruolo di direzione, anche minoritaria, per la classe operaia. Rappresentare per essa un partito, anche minoritario, ma politico, cioè visibile a livello statale, con cui ogni operaio potesse misurare i propri interessi.
Pur essendo ben noto che del senno di poi son piene le fosse, nessuna valutazione dei fatti può esserne esente. Ed i fatti ci dicono che per l’antistalinismo tradizionale, non solo non esistono ne errori ne ipotesi scientifiche, ma non esiste neanche quel senno di poi, cui qualunque luogo comune può lasciarsi andare. Ad oltre un decennio dal crollo dello stalinismo la lezione è disattesa. Ognuno accampa la propria spiegazione della perdurante inesistenza politica mentre lo stalinismo prosegue indisturbato il suo naturale processo di decomposizione, in “Rifondazione Comunista” ed infine nei ridicoli “Comunisti Italiani”.  L’unica apparente contraddizione è rappresentata da “Lutte Ouvriere” ma in Francia. Essa comunque, per le sue rivendicazioni assistenzialiste, stataliste e keynesiane, rappresenta una sorta di “Rifondazione” francese la cui esperienza è stata possibile anche per la pochezza dello stalinismo transalpino, come per la forza dello statalismo, in cui ogni stalinista trova almeno un rifugio.
 
Seconda considerazione: fallimento teorico

 Non solo politicamente, ma anche e soprattutto teoricamente, le formazioni antistaliniste hanno fatto bancarotta. Le loro tesi sullo stalinismo si sono rivelate aria fritta. In Italia queste correnti si richiamavano fondamentalmente a Trotzky e Bordiga, le cui tesi erano fondamentalmente quelle dello “Stato operaio degenerato” e del “Capitalismo di Stato”.

La tesi dello “Stato operaio degenerato”, è defunta con tanto di annessa “rivoluzione proletaria solo politica” e tutto l’armamentario che ne consegue. Non merita dunque, in questa sede, neanche parlarne.
Per la verità non sarebbe neanche il caso di parlar tanto di quella sul “Capitalismo di Stato”, se non fosse che, a noi pare, che tale tesi da lungi abbandonata anche da A. Cervetto, fondatore di Lotta Comunista, sia difesa in qualche modo dai compagni di “Pagine Marxiste”.  In ogni caso alleghiamo al nostro documento fotocopia del testo della prefazione al libro “Il ciclo politico del capitalismo di Stato 1950-1967” (1989) di Arrigo Cervetto.
In questa prefazione A. Cervetto riconosce che la tendenza al Capitalismo di Stato, da lui giudicata inevitabile non lo era affatto. Non occorre essere degli scienziati per comprendere che una qualsiasi cosa che si ritenga inevitabile, quando si ammetta non esserlo più, non è che un’altra cosa.
 In questa nostra impostazione possiamo, da un lato, riscontrare una sopravvalutazione dei tempi del capitalismo di Stato e, dall’altro, rilevare un’idea del ciclo politico di quella che si riteneva essere una tendenza inevitabile.
 Vogliamo solo sottolineare che del Capitalismo di Stato, tesi fondante di Lotta Comunista, qui, in qualche riga, viene descritta, senza analisi alcuna, una diversa natura, il che a rigore significa soltanto poter continuare a chiamare dopo, con il medesimo nome un diverso fenomeno.
Non senza fatica abbiamo dovuto ammettere che, in penosi giochi di parole come questi, si racchiudesse tutto ciò che A. Cervetto  ci descriveva come continuità teorica.
 
A. Cervetto avrebbe dovuto «riscontrare» due errori, da un lato, uno qualitativo (sopravvalutazione della tendenza), dall’altro uno quantitativo (sopravvalutazione dei tempi, ovvero della forza di quella tendenza, e non la correzione che, certo è un altro lato, ma di un'altra cosa ancora non dell’errore), cioè avrebbe dovuto ammettere di essersi basato per anni su di una concezione (quantità e qualità)  totalmente errata.
Sorvoliamo naturalmente su tutto il resto della medesima prefazione, in particolare sulla tesi del  “totalitarismo”, da A. Cervetto avversata, come sul dibattito sulla natura sociale dell’URSS, cui A. Cervetto ha partecipato solo come fruitore. Non gliene facciamo una colpa, ma ciò non toglie sia una scorrettezza sottacere  paternità del dibattito e dibattito stesso [1].
 
Terza considerazione: astrattezza, distacco dalla realtà.
 
Anche ammettendo che gli aspetti politici e teorici del lavoro di Lotta Comunista non possano essere ridotti alle tesi sul capitalismo di Stato certo ne sono una parte fondante. Non a caso il libro succitato, non solo non illustra l’errore riconosciuto da A. Cervetto, ma in un certo senso lo diffonde, lo conserva, riportando in luce testi frutto di quell’errore. Non a caso, dicevamo, quel libro riproduce un editoriale noto almeno in Lotta Comunista: “Genova punta avanzata della strategia rivoluzionaria” [2].  Ricordiamo quest’editoriale perché riteniamo sia noto, a qualsiasi aderente a Lotta Comunista, quanto la «strategia» descrittavi abbia pesato sullo sviluppo del partito e soprattutto con quali effetti. Cioè con l’effetto di staccare il lavoro di partito, le sue parole d’ordine, la sua agitazione e propaganda, da ogni realtà che, concretamente, andava in ben altra direzione. Lungi dall’essere il «banco di prova» nell’edificazione del partito leninista in Italia, Genova è stata la punta avanzata nell’arretratezza politica non esprimendo che una qualche sporadica resistenza alla ristrutturazione, in cui in ogni caso Lotta Comunista ha assunto un atteggiamento “oggettivista”, quando non corporativista come nel caso delle cosiddette “lotte portuali”.
 
 
Quarta considerazione: amministrativismo, settarismo.
 
Quello sul capitalismo di Stato non è che uno degli errori che, a cascata, hanno portato l’ormai presunto partito a staccarsi da ogni realtà. Il meccanismo con cui il capitalismo di Stato è divenuto altra cosa rispetto a quello su cui il corpo dirigente di Lotta Comunista si era formato, ha trasformato ogni altra tesi, spesso nel proprio opposto. Il nodo salariale è risultato una bufala costata un decennio di lavoro sindacale, gli anni ’70. L’originalità italiana della crisi di squilibrio si estesa al mondo intero. La crisi di ristrutturazione è diventata una fantomatica crisi di internazionalizzazione.  Tutto è diventato ciclo. Tutto è diventato crisi. Il significato scientifico della terminologia marxista è diventato elastico quanto la fantomatica strategia dietro cui ormai Lotta Comunista si acquatta.
Una volta, per bocca di A. Pressato, che non parlava certo senza autorizzazione, bisognava essere tutti “craxiani”, ottimisti e vincenti. Non diversamente oggi quando occorre essere tutti “berlusconiani”, ottimisti e vincenti. Ma questo veloce processo in cui Lotta Comunista si è adagiata è stato determinato soprattutto dalla sua pochezza teorica. Il bagaglio teorico con cui ha affrontato la battaglia era inadeguato. Immediatamente sconfitta si è rifugiata in una attività ristretta, controllabile, scheletricamente ridotta ad una propaganda incosciente.
La biografia di Lenin è costellata di lotte di frazione. Nella concezione democraticistica tali lotte sono sostanzialmente assimilate a lotte della base contro il vertice. Si dimentica troppo facilmente che la maggior parte delle lotte di frazione erano lotte del capo contro il corpo del partito attardato su precedenti posizioni del partito stesso. Così per elezioni alla Duma dopo la rivoluzione del 1905, così per le Tesi d’Aprile, nel 1917, in pieno corso rivoluzionario. Insomma su di un tema fondante come quello del “Capitalismo di Stato”, anziché «riscontrare» un lato dell’errore ed un altro lato della correzione, A. Cervetto avrebbe dovuto dare battaglia all’interno del partito affinché questi comprendesse a fondo il mutamento in corso, affinché potesse adeguarsi alla mutata concezione della realtà capitalistica. Come suol dirsi avrebbe dovuto attrezzare il partito.
A. Cervetto, mancando ai propri compiti, alle proprie responsabilità, ha sottratto al partito la sua naturale direzione, o se si preferisce, ha sottratto alla sua direzione il partito. In altre parole o il capo ha ritenuto di non avere un partito, o il partito era rimasto senza un capo.
Se si comporta così il capo cosa pretendere dai suoi epigoni?
 
Occorre comunque anche, a nostro avviso, elevarsi al di sopra di quella  che è stata la nostra attività in Lotta Comunista, certamente non è andata esente da tutti i difetti che oggi critichiamo.
Solo il settarismo, impedendo ogni rapporto politico interno, ha consentito che dalla costante perdita di aderenti si formasse spontaneamente un’alternativa a Lotta Comunista. Ma non sempre è andata così. A Livorno, ad esempio, Lotta Comunista ha perso tutto il comitato. Quest’esperienza è finita con lo sfociare nei precedenti trotzkysti dei suoi membri. Anche a Torino alcuni “ex” (“Inchiesta Operaia”), hanno ripreso una certa attività sostanziandola però con un antisettarismo di “rigetto”, inaccettabile e sconclusionato. Certo entrambi, non fanno più danno adesso di quanto ne facessero prima stando in Lotta Comunista.
In ogni caso, nonostante gli indubbi danni arrecati alla formazione di un’avanguardia comunista in Italia, non è più possibile a Lotta Comunista, vantare di spremere come limoni gli attivisti affinché, uscendo, non abbiano altro desiderio che di andare al mare o ai monti nelle feste comandate.
 


[1]  In tale dibattito giocò un ruolo non indifferente su Onorato Damen una ormai famosa citazione dall’Antidhuring di Engels. Sull’errata interpretazione di questa citazione, cui si è accodato A. Cervetto, rimandiamo al nostro testo “Duplice carattere della proprietà statale”, pubblicato sul sito e sull’«Internazionale» del marzo del 1999, in cui critichiamo l’esposizione che di questa citazione è stata fatta da A. Cervetto.
 Sul sito inoltre S.G. illustra in una breve nota, “Capitalismo di stato, natura dell’Urss nel dibattito della Sinistra Comunista in Italia dopo la seconda guerra mondiale”, il dibattito cui accenna A. Cervetto.
[2] Anche su questo editoriale è possibile reperire una nostra critica sia sul nostro sito che sull’«Internazionale» del febbraio del 1999. La nostra critica di allora procedeva ancora a tentoni, ma ne confermiamo qui l’intera validità.