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IL RIDIMENSIONATO CAPITALISMO DI STATO

L'implosione dell'apparato statale dell'ex U.R.S.S., Unione Sovietica, ha chiuso gli anni '80 rendendo di pubblico dominio il fallimento del mito stalinista del presunto socialismo in paese solo. Nonostante l'appoggio della borghesia internazionale U.R.S.S. è crollata. Privato dei suoi finanziamenti esteri e dell'aquisito ruolo di intermediario l'opportunismo italiano, il PCI., in una affannosa corsa contro i tempi del crollo, si è repentinamente mutato, scindendosi tra sedicenti 'innovatori' ed in più e meno 'nostalgici'.

Per ogni marxista, per ogni rivoluzionario, però la reale natura capitalistica dell'U.R.S.S. era chiara da decenni. Fu grande merito di Amadeo Bordiga, fondatore del Partito Comunista d'Italia, in piena controrivoluzione staliniana, illustrarne la reale natura di capitalismo di Stato, e se oggi è possibile, sia pur come ristretta minoranza, essere comunisti, cio è dovuto essenzialmente a quel primo punto fermo, a quella "vittoria teorica". Nondimeno intere generazioni di operai sono state perdute al comunismo anche grazie al mitico socialismo in un paese solo, proprio perché‚ a quella effettiva "vittoria teorica" non ha fatto seguito alcuna vittoria politica. Il compito demolitore che il comunismo rivoluzionario non ha potuto ne saputo assolvere è stato assolto dal tempo.

Ma, crollo dell'U.R.S.S. a parte, è la forma stessa di Capitalismo di Stato, ad essersi rivelata una forma inferiore di sviluppo capitalistico, vanificando anche le tesi che, comunque, attribuivano, hanno attribuito, al Capitalismo di Stato, correttamente inteso, una qualche 'superiorità', tanto da farne derivare alcuni cardini strategici.

Questo concetto di superiorità del Capitalismo di Stato è rintracciabile in tutta una serie di editoriali e non editoriali pubblicata da "Lotta Comunista". Esemplare e fondamentale, avendone condizionato per almeno un ventennio la propria attività, l'editoriale dell'Ottobre del 1966 "Genova punta avanzata della strategia rivoluzionaria". L'editorialista pone Genova al centro della prospettiva strategica perché‚ "Genova è da un lato, la capitale del capitalismo di Stato italiano, e, dall'altro, la capitale dell'industria dei trasporti marittimi". L'indicazione stessa dei fattori indica come sia considerata superiore la forma capitalismo di Stato, rispetto, ad esempio ma non a caso, a quella del capitalismo "privato" di una Torino o di una Milano e quindi come anche tra gli stessi due 'lati' quello rappresentato dal capitalismo di Stato sia quello effettivamente determinante.

A questi due fattori l'editorialista affianca un terzo motivo d'ordine storico. "In questa città [Genova] (...), la strategia del movimento operaio doveva avere nell'ultimo ventennio il più chiaro ed inconfondibile banco di prova.". "Genova rappresenta da alcuni anni la maggiore esperienza che il proletariato italiano ha fatto della strategia dell'opportunismo e questa esperienza si manifesta nel rifiuto spontaneo della linea del PCI nelle lotte operaie e nella incapacità dell'apparato del PCI di mantenere il controllo su vasti strati operai.". Una combinazioni di fattori che porrà Genova quale baricentro dell'attività del giornale citato, assorbendo, nei momenti considerati decisivi, ogni risorsa disponibile in altri luoghi. L'indebolimento 'periferico', sarebbe stato comunque compensato dal vantaggio 'centrale', 'strategico' acquisito a Genova.

Non possiamo ripercorre la storia e gli avvenimenti che, per oltre un ventennio, hanno preceduto il crollo dell'U.R.S.S., ma non possiamo non sottolineare che l'ultima importante battaglia dell'opportunismo in difesa del capitalismo di Stato sia stata combattuta per un'industria automobilistica come l'Alfa-Sud e persa piuttosto a Torino che a Genova. Che il processo di socialdemocratizzazione del PCI, nel frattempo divenuto coincidente coll'abbandono di ogni difesa del capitalismo di Stato, sia passato attraverso la sconfitta subita dalla Fiat nell'80, ancora a Torino. Che il PCI, avendo raggiunto tale maturità in 'periferia' ben si sia guardato dal combattere la minima battaglia al 'centro' e che a Genova, non così per esempio a Milano, le grandi aziende statali abbiano subito un crollo di addetti senza precedenti per volume ed assenza di resistenza.

Torneremo, se avremo tempo e modo, su questi aspetti. Restiamo fermi al capitalismo di Stato di cui le tesi succitate mostrano invece la profonda influenza che la controrivoluzione stalinista ha prodotto condizionando non solo il campo avverso.

Questo condizionamento è un fatto oggettivo, non deve e non può essere giudicato moralisticamente. Però non si tratta neanche di limitarsi a registrare il crollo dell'U.R.S.S, come non si tratta di registrare che in tutte le aree in cui il capitalismo di Stato aveva un qualche peso questo è stato nella stessa misura ridimensionato dalla competizione mondiale. Tutti sappiamo leggere i giornali.

Insomma non si tratta di ricordare queste tesi "vanificate" al solo scopo di emendarle, correggerle. Cosa che l'editorialista stesso, dal suo punto di vista, effettivamente compiuto.

Si tratta invece, si sarebbe trattato, per un organismo rivoluzionario, di collocare il ridimensionato ruolo del capitalismo di Stato nel ventaglio d'ipotesi di sviluppo capitalistico posto alla base del proprio sviluppo "strategico", per sottoporre questo ventaglio d'ipotesi allo stesso processo di selezione naturale che ha bloccato l'evoluzione del capitalismo di Stato, per sottoporre lo sviluppo raggiunto su quelle basi ad una conseguente riflessione critica.

Si tratta, si sarebbe trattato, cioè di un normale processo di riflessione e di adattamento della propria coscienza collettiva, del proprio organismo collettivo, alla realtà dello sviluppo capitalistico.

Si tratta della normale, normalissima, semplice applicazione di quei "metodi preziosi" con cui il marxismo ha sempre affrontato la vita sociale, con metodo scientifico, asettico, senza colpe e senza meriti, a condizione che si abbiano coraggio della scienza marxista e forza, autorità, per estromettere da questo processo il fattore morale.

pubblicato anche su L'Internazionale (Livorno) febbraio 1999,

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