T O P I C R E V I E W |
obermann111 |
Posted - 28/06/2003 : 19:58:48 SVILUPPO
I referendum hanno esaltato in maniera estrema il totale svincolo ideologico della massa stessa. La massa non è più massa ma è oinvece una accozzaglia informe di individualità estetico-edoniste,assolutamente e totalmente estrenee a qualsiasi tipo di impegno. Tutte le così dette manifestazioni no-global realizzate dal crollo del muro ad oggi,sono tutte induzioni di retaggi storici ampiamente scavalcati dalla realtà che ci circonda,fondata su consumo monetizzazione,corsa allo status ,ipersoggettivismo,gretto materialismo. I no global al loro interno vedono uno spettro minoritario rappresentato dall'underground,dal centro sociale,dai residui militanti ed una maggiornaza costituita da persone col telefonino all'ultima moda,col capo firmato,il trend,l'auto super accessoriata,ecc...Una fiumara che dice no alla globalizzazione,in aperta contraddizione verso quello che è il loro modo di porsi e guardandosi bene dal gridare ad esempio,no alla civiltà del petrolio,no al consumo sfrenato. La corsa alla redistribuzione della ricchezza è una contraddizione in termini devastante: la ricchezza per sè stessa non può essere redistribuita perchè se lo fosse non sarebbe più ricchezza. La massa iperframmentata vuole essere ricca,vuole poter disporre di tutto,non vuole ideologie. Le necessità soddisfatte grazie al welfare spingono alla frenetica corsa verso il superfluo assoluto,,legittimata dall'estensione del commercio globale. Paradossalmente il welfare non fa altro che sostenere questo sistema:forndi pensione,TFR, interessi sociali,contributi,stiamo parlando di un immenso flusso di danaro che ha soltando ridotto i margini di rischio delle grandi imprese che altresì ridefiniscono le loro interessenze sopra nuovi mercati.
La stigmatizzazione fatta all’indirizzo dell’astensionismo rivela una poderosa involuzione: nelle aree depresse del paese,il voto ha senso solo se correlato all’appartenenza ad un “club”,ad “una famiglia”perché il voto ,in relazione al controllo poderoso delle strutture “parastatali” significa esporsi,esporsi pericolosamente; nelle aree del benessere invece l’astensione è il riflesso di un assoluto disimpegno politico;in definitiva nella “megalopoli padana”,con diramazioni comprendenti l’Appennino tosco-emiliano-ligure,che piano piano si sta omologando al sistema del “partito azienda elettorale”,non frega niente a nessuno di quello che succede nella struttura la quale deve semplicemente essere di supporto strategico nei confronti di quello che è l’economia precarizzata (che effettivamente ha sancito il cambio della concezione e del valore del lavoro che infatti è regredito:non avendo più la connotazione di strumento di sfruttamento ,perché non è più localizzato in una catena ma polverizzato in una rete parcellizzata,esso è divenuto schiavitù temporale allargata perché il “lavoratore” è sempre più vincolato al tempo non solo nella mansione lavorativa, ma anche nella gestione di quello che dovrebbe essere il tempo libero. Quest’ultimo infatti non esiste più perché un interinale,un co.co.co,un “leasinghizzato in ousourcing”, è costantemente a disposizione dei datori di lavoro che non sono più identificabili in una sola persona,ma spalmati all’interno della rete.). Perché si estende il disimpegno? Proprio per la fattezza del nuovo lavoro che essendo “una tappa di passaggio”,non permette la realizzazione di una coscienza perché inconsciamente “la rete” viene interpretata come un passaggio. La struttura legalizza e sostiene la rete,la giustificazione ideologica viene affidata al partito azienda che funziona da gigantesco spot elettorale subliminale. Quale l’incidenza della sinistra istituzionale? Non esiste in quanto è la stessa aristocrazia operaia sindacale ad aver sostenuto questa evoluzione,non impedendo la ridefinizione della redditività del secondario: non furono posti dei paletti quando c’era da metterli(1979-1980:Agnelli espelleva qualcosa come 25.000 operai dalla Fiat…) e questo è il risultato voluto.
Sviluppi per il futuro. Avendo “mancato la presa” quando si era in grado di farlo,tutto ora si riconduce alla redifinizione di redditività che solleciterà continuamente il lavoro che diventerà sempre più flessibile,parcellizzato e svincolato per non parlare della onnicomprensività sancita da una tecnologia che livella qualsiasi grado di istruzione. (Ecco perché le riforme scolastiche hanno sempre più una impronta tipo college statunitense con richiami costanti all’applicazione tecnica e costante riduzione dell’applicazione cultural-libraria). Ciò ci illustra come la tipologia del lavoro manuale si riferirà sempre più all’immissione terzomondista di umanità,mentre l’interinalità si riferirà sempre più ad una massa secolarizzata di quinto livello.
Fattori critici Si riferiscono alla capacità del mercato globale di espandersi soprattutto ora,in una situazione di saturazione-recessione. Servono aree di sfogo e la guerra serve a questo. Servono aree energetiche e le guerre servono anche per questo. Se questa capacità dovesse essere bloccata , i rischi del contraccolpo risulteranno devastanti perché la capacità di resistenza economica fronte di una situazione fondata sulla sperequazione,è debolissima.
Ideologia I partiti istituzionali non la esprimono più,la stessa base dei tesserati funziona da fruitrice,non è più propositiva. In relazione a ciò risulta importante la circolazione di idee “sotterranea” e risulta importante lo sfruttamento di qualsiasi strumento atto ad infiacchire la ridefinizione (come il referendum). Giustificare la ridefinizione solo in relazione alla crescita materiale avvenuta dagli anni cinquanta ad oggi,di fronte ad una estensione della desertificazione, è sbagliato soprattutto perché esiste sempre un costo. Operazioni di infiacchimento possono senza dubbio favorire una capacità di ripresa dell’esistente ma è necessario allungare i tempi di ridefinizione. Sarebbe auspicabile una confluenza della libera circolazione di idee,tuttavia difficile all’interno della situazione attuale.
Punti di snodo Uno può essere rappresentato dal peggioramento della situazione economica;lo squarcio del welfare ingigantirà le contraddizioni che andranno alla ricerca di un supporto ideologico che non sia più “il partito azienda” che in questo caso rivelerà la sua totale inconsistenza. In tal senso risulta obbligatoria una ridefinizione soprattutto perché il modo di porsi leninista non funziona più all’interno di una realtà iperframmentata come quella post-industriale. Il concetto di classe sfuma di fronte alla tensione monetistica ed altresì sfuma anche il concetto di lotta sul posto di lavoro in quanto questo non è più “fisso”ma aleatorio,variabile. Le spinte rivoluzionarie quindi si devono ricercare in altri ambiti che non sono più riconducibili al lavorismo del XX secolo. Ruralismo ,consanguineità,interetnia appaiono come forme che possono aggredire il capitale globale,altresì risulta importante una considerazione di massa dello sviluppo tecnologico,che non deve essere più asservito al capitale. Inoltre all’interno della visione marxista la struttura politica è al servizio della classi dominanti che quindi ne definiscono la sfera. In realtà questa struttura ad un certo punto ,quale che sia la sua origine,inizia a vivere di vita propria ,svincolandosi dagli indirizzi dati dalla classe dominante. Questa coscienza autonoma deve essere riconsiderata: la storia ci ha dimostrato che cadono e si avvicendano determinati indirizzi di governo,ma lo stato rimane,lo stato perpetua se stesso.
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7 L A T E S T R E P L I E S (Newest First) |
obermann111 |
Posted - 16/10/2003 : 20:46:50 Mi scuso per l'eterno ritardo: la problematica dei co.co.co è spaventosa ma lo è ancora di più quella degli ex "interposti" ovvero i lavoratori di quelli che erano le carovane,la classica cooperativa in nero,cooperativeproibite per legge nel 1960,ma oggi legalizzate con la nuova legge sul lavoro...(io,fino al 1999 ero facente parte integrante di questo mondo lavorativo sommerso e ti assicuro che la tensione e la feustrazione erano parossistiche !!!)La situazione è assolutamente drammatica,tuttavia non succede niente. La domanda sta proprio qua:non c'è smalto di classe e neanche una avanguardia trascinante. Non bastano le super analisi alla N+1 Quinterna (non mi sto riferendo a te ovviamente,ma punto il dito contro questi "aristocratici" che postano le loro,pur correttissime,analisi sulla LISTA movimento.ecn....) ci vuole un qualche cosa di più,che vada anche al di là di una devastante diaspora anti coagulante e scaturente una serie infinita di diversificazioni e prese di posizione.Non parliamo poi del gigantesco trasversalismo imperante: ultimo caso la recente proposta sugli immigrati,la pseudo sinistra italiota ha già aperto il dialogo per appoggiare i post-fascisti...più trasversali di così!! Con massimalismo !
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Labriola |
Posted - 19/09/2003 : 17:49:51 é vero quello che obermann dice. l'operaio massa non esiste più ma non per questo il processo di sfruttamento del proletariato finisce qua. Potrei arrivare a dire sicuramente che la situazione di un co.co.co oggi é molto più critica della situazione di un metalmeccanico della fiat degli anni '70.Oggi la nuova classe lavoratrice (manuale o meno) sta subendo una nuova ondata repressiva in cui si stanno mettendo in discussione varie conquiste che il movimento dei lavoratori ha impiegato decenni a fare. Ti assicuro che l'ansia di non sapere se il tuo contratto sarà rinnovato per altri tre mesi é ben maggiore dell'alienazione derivante dal lavorare nella catena di montaggio. e questo te lo dico per esperienza "famigliare" essendo mio padre diventato un co.co.co a 50 anni. il fatto che il movimento operaio non si sia opposto alla deindustrializzazione é un problema già troppo dibattuto.i fatti sicuramente dimostrano (accusami pure di ortodossismo)che l'assenza di una vera organizzazione rivoluzionaria dei lavoratori, é stata determinante nella sconfitta. La lezione :senza la strategia organizzativa l'autonomismo operaio diventa pura speculazione salariale.Come dici anche tu, il problema odierno é ridare una socialità al lavoro, in modo che riemerga con forza l'identità di classe. Trasformare insomma una classe in se in una classe per se. Questo dovrà avvenire anche per i fattori oggettivi che la storia ci porrà davanti.La situazione a mio parere é questa. il post fordismo ci sta portando in un ambiente lavorativo sicuramente pieno di tecnologia, ma a livello contrattuale siamo ritornati agli anni venti.Sfruttare questa situazione rielaborando quella che tu chiami violenza ideologica é sicuramente nostro dovere. Saluti a tutti i compagni!!!
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obermann111 |
Posted - 17/09/2003 : 21:50:21 A Labriola
il tuo è un marxismo aderente e lo dimostra la tua analisi "orientaleggiante",comunque sia non si tratta di un insulto,tanto è vero che mi definisci occidentale. E ciò è vero: non ho mai abbracciato l'ortodossia marxista-leninista perchè a mio avviso,anche se ciò può fare storcere il naso ai puristi,il marxismo-leninismo diviene una forzatura maggiore all'interno del mondo urbano occidentale a causa del suo elemento volontarista partitico. Ora tu affermi che la delocalizzazione è responsabilità del capitalismo,tuttavia il mondo operaio che cosa ha combinato per opporsi a ciò?? Che cosa ha fatto il mondo operaio in relazione alla smobilitazione di interi segmenti lavoristi ?? Sotto ogni punto di vista,il mondo operaio occidentale,che teoricamente dovrebbe essere maggiormente consapevole dell'importanza dello scontro tra capitale e lavoro,che cosa ha opposto alle inevitabili logiche capitaliste tendenti a ridefinire verso altri lidi il profitto?? NOn si è forse proceduto ad una sostanziale smobilitazione in virtù dei feticci materiali quali andava sbandierando il sindacalismo alla Lama,il sindacalismo del "tutto e subito"?? Una visione ostentatamente marxista - leninista presuppone inevitabilmente una proletarizzazione della società che in questo momento non esiste,ed è questa l'enorme difficoltà della sinistra rivoluzionaria. Ad essa manca il supporto fondamentale e la sua mancanza,non essendoci più la costituzione in classe di chi lavora sotto padrone,si traduce in un qualche cosa di estraneo in quanto tutti "concorrono" per se stessi e nella pratica del lavoro si è passati dalla materializzazione dello scontro - per esempio tra i dirigenti dei tempi e gli operai specializzati - ai rapporti interpersonali (del cazzo...scusate il termine). In questo modo è naturale che l'asfittica sinistra rimasta ripieghi sopra forme opportunistiche nel tentativo di salvare una funzione superata dall'evoluzione del lavoro,sempre più individuale,sempre più tecnologico,sempre più anti-sociale,sempre più omologato verso il basso,sempre più depoliticizzato. Il fatto poi che nel resto del mondo stati comunisti ,come la Cina,si pongono come neo-imperialisti,non fanno altro che aggravare la situazione. Non esiste solo la Cina: il concetto di autodeterminazione,che discende dal marxismo del Manifesto,vede le nazioni mediorientali ed islamiche porsi come "ostruzioni" grazie non solo alla presenza del petrolio ma anche alla religione che lì è motivo di enorme traino ideologico. La ridefinizione dei profitti passa per il mercato,o meglio per nuovi mercati,soprattutto ora che il dollaro va vacillando la sua posizione di dominio,in tal senso l'Europa dell'Euro è divenuta concorrenziale e potenzialmente pericolosa. L'area mediorientale invece si pone come un gigantesco tavolato da ridefinite,dal punto di vista americano ovviamente. Iraq ed Afghanistan sono solo l'inizio di un lungo scontro,scontro perchè,a prescindere dalle dittature familistiche che costellano l'area,la popolazione si dimostra agguerrita e per nulla disposta ad omologarsi. Se non esiste accellerazione lo si deve a loro,NON DI CERTO A NOI CHE RISULTIAMO DECISAMENTE GRASSI E FLACCIDI AL LORO CONFRONTO. Gente disposta a farsi esplodere non esiste quì da noi: quì abbiamo l'esercito dei professionisti,che ha una incidenza di costi devastante e gli statunitensi se ne stanno accorgendo,e la mandria dei last minute...tutte le enorme menti socialisteggianti si affannano a delineare lo scenario critico del capitalismo,tuttavia,pur confermando la realtà dei fatti,non basta! Bisogna spingere la crisi al massimo,anche se questo può sembrare retrò,ma bisogna sempre considerare LA SECOLARIZZAZIONE DEL CAPITALISMO,il quale ha sempre dimostrato una enorme capacità di riplasmarsi,certamente partendo da una posizione di vantaggio. Ed ecco: non dobbiamo fare in modo che quel vantaggio diventi nuovamente incolmabile con l'introduzione di un nuovo FEUDALESIMO. Storditi dalla civiltà dei consumi e dalle fighe patinate che affollano le strade ( non i teleschermi...) ,noi come quinto stato dimostriamo una fragilità ed una debolezza congenita che deve essere superata con violenza ideologica. I tavoli delle concertazioni risultano ,sono ,delle posposizioni ab eternum della conservazione dell'esistente e questo non ci deve interessare,non deve interessare il nostro egoismo italiota così infimo e così antico. O capitani o niente.....
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Labriola |
Posted - 31/08/2003 : 16:16:59 Sono d'accordo con te Obermann, sul fatto di dover estendere il tutto a classi o settori sociali estranei alla tradizione operaista della sinistra tradizionale, tuttavia secondo me concentri la tua analisi ad un livello troppo occidentale. Con questa affermazione non vorrei attirarmi addosso epiteti come "terzomondista" o cose simili. Tuttavia,il processo di deindustrializzazione e il suo sviluppo é in larga parte ascrivibile al sistema capitalistico occidentale, in controtendenza a giganti capitalisti quali la Cina e l?india, nei quali un'estrema industrializzazione ha portato a fenomeni di sfruttamento che da noi si èpotevano vedere solo nei primi anni '20 del novecento. Il fatto di un forte industrialismo indo - cinese può essere correlato a livello politico, alla formazione di un vasto schieramento imperialista asiatico. Quello che sto proponendo non é guevarismo.Sto solo sottolineando come sia la deindustrializzazione sia il dislocamento degli impianti non possa essere completamente interpretato come sviluppo del procsso produttivo (e quindi struttura)ma anche come tentativo della classe borghese di portare ad uno stadio successivo il progetto di frantumazione dell'unità della classe proletaria. Questo é poi attuato anche con altri strumenti, come per esempio la diversificazione salariale, che nelle mani del padronato é una vera e propria arma mortale.questo, comunque, é un argomento molto interessante e sicuramente da approfondire.Nonostante il mio relativo livello teorico penso di aver espresso più o meno chiaramente ciò che volevo dire. P.S vorrei sapere da obermann che concezione marxista mi ha attribuito. Saluti a tutti i compagni
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obermann111 |
Posted - 04/08/2003 : 15:50:16 In risposta a Labriola
Le tematiche esposte da Labriola sono fortemente di cultura marxista aderenziale,sostanzialmente condivisibile in quanto praticamente la sua costruzione ideologica non fa una piega,perchè effettivamente il materialismo storico dialettico concepito da Marx non fa una piega. Solo che all'interno proprio dello sviluppo storico della classe operaia,questa si è trasformata,non è più quella degli anni Cinquanta. Questo perchè?? Semplice,perchè come afferma Marx siamo il frutto del livello di produzione raggiunto. E quale è il livello di produzione raggiunto?? E' quello che oggi vede la deindustrializzazione e la ridefinizione del profitto sopra nuove aree,in questo modo l'operaiato di fabbrica fordista si è fortemente ridimensionato parallelamente al ridimensionamento dell'industria. Detto ciò,quale sarebbe il prolatariato da coagulare,come afferma Labriola?? Il proletariato di comparti come Fiat,Olivetti,Pirelli che ormai sono ridotti all'osso?? Oppure è necessario considerare nuove fasce,come tutto il mondo dei lavoratori flessibili,che non sono esattamente industrialiste e fordiste?? Tuttavia come fare ad essere loro aderenti se la stessa flessibilità porta a non considerare la lotta sul posto di lavoro e la formazione coscienziale dello scontro nel lavoro?? E' questa la battaglia ideologica che ci aspetta nel terzo millennio ed il solo marxismo non basta più : bisogna potenziarlo,ricodificarlo,riallocarlo,riplasmarlo,riedificarlo sopra la nuovissima realtà che si è andata formando. Grazie per l'attenzione e mi scuso per il ritardo alla risposta.
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Admin |
Posted - 09/07/2003 : 11:48:37 Ciao "Labriola" Come già ad altro tuo messaggio debbo dirti che l'indirizzo mail che hai lasciato non funziona. Correggi od inviaci il tuo indirizzo corretto a: redazione@rottacomunista.org. In mancanza di un indirizzo puoi lasciare un ntel fisso. Ciao.
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Labriola |
Posted - 05/07/2003 : 17:57:40 NESSUNA EMANCIPAZIONE SENZA INFLUENZA “Non votate, andate al mare!” Questa, l’ultima infima esortazione con cui l’onnipresente borghesia italiana è, per l’ennesima volta, riuscita a bloccare il processo di emancipazione della classe proletaria, la quale avesse avuto una stabile guida, avrebbe potuto trasformare la diatriba della sinistra borghese, in una vera e propria vittoria per tutta la classe operaia italiana. Purtroppo, con un colpo di reni, la borghesia italiana è riuscita a salvarsi in extremis, affossando il referendum popolare sull’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il 16 Giugno rappresenta la sconfitta di tutto il proletariato italiano, a favore di tutte le frazioni della borghesia italica, che per l’occasione si erano ritrovate in un fronte comune. Come Marx molte volte ha insegnato, dalle sue sconfitte il proletariato deve trovare le risorse per continuare la lotta, e quindi anche in questo caso è necessario che il proletariato italiano tragga la sua dolorosa lezione: senza una guida che influenzi la classe operaia non può esserci emancipazione. La prima necessità a cui adempiere, almeno per onesta intellettuale, è senz’altro sottolineare marcatamente la natura borghese dello stesso referendum. E’ lampante come questo referendum fosse di chiara matrice borghese, e questo ci viene indicato in primo luogo, dagli stessi promotori del referendum, comunisti di nome e borghesi di fatto, e in seconda battuta dai sostenitori di quest’iniziativa, prima tra tutti la C.G.I.L, che non si può senz’altro definire un sindacato rivoluzionario. Quindi, smascherata definitivamente la natura borghese del referendum, occorre andare ad analizzare il perché esso sia stato proposto da una frazione della stessa borghesia, e in seguito come le restanti frazioni borghesi, sulla base dei rapporti materiali, abbiano reagito all’iniziativa. Sul primo punto, varie sono le interpretazioni date, e, scartate quelle ingenuamente parlamentariste, propenderei per un’interpretazione che si basi sull’analisi dei vari rapporti di forza vigenti tra le frazioni della borghesia italiana. Essenzialmente il Partito della rifondazione comunista, sorto dalle macerie dello stalinismo italiano, rappresenta una piccolissima parte de movimento operaio italiano, tra le sue fila si possono notare zelanti dirigenti di partito, ex militanti, ex – sindacalisti e tutta quella massa di pseudo – rivoluzionari che avevano visto il ’68 come il culmine del ciclo rivoluzionario italiano. Detto di ciò, si può dire che Rifondazione Comunista sia il partito che porta avanti gli interessi di una parte dell’aristocrazia proletaria italiana e della vicina piccola borghesia d’indirizzo socialisteggiante. Alla luce di questo chiarimento in termini materialistici, si può ipotizzare il perché questo minuscolo partito, tanto simile ai montagnardi francesi del ‘48, abbia promosso un’iniziativa popolare di questo tipo. Sostanzialmente la motivazione di tutto ciò è da ricercarsi nella sintesi tra una soffocante necessità di visibilità di cui Rifondazione Comunista soffre da sempre e la necessità dell’aristocrazia operaia italiana (soprattutto tosco – emiliana) di stabilizzare ulteriormente e rendere più costante il rapporto che essa ha con il capitale italiano. Tuttavia, non è da sottovalutare la valenza anti – berlusconiana dell’iniziativa, su cui contava la stessa rifondazione comunista in funzione dell’alleanza con i rappresentanti della piccola e media borghesia democratica: l’Ulivo. Il progetto, della piccola borghesia massimalista, è andato ,però, a infrangersi contro i sostanziosi e corpulenti interessi della borghesia democratica ulivista, in questo caso coincidenti a quelli della frazione confindustriale. Di fronte ad un attacco simile contro uno degli strumenti del dominio di classe (la discrezionalità del licenziamento da parte del padronato) l’intera borghesia coalizzata si è scagliata (per diversi motivi) contro questo referendum, portatore degli interessi proletari e della piccola borghesia socialista. Diverse, diremmo, le motivazioni, se pensassimo realmente di districarci da questa situazione, orientandoci attraverso l’ago impazzito dell’ideologia borghese. Secondo quest’ultima, infatti. mille sono stati i motivi che hanno determinato il voto negativo o il non voto nel riguardo di questo referendum; tuttavia, molto tristemente, tutte queste pseudo – motivazioni si possono ricondurre ad un unico filone: non bisogna permettere al proletariato di alzare la testa! Questo diceva la borghesia confindustriale e finanziaria con la posizione del polo della libertà in difesa dell’economia italiana; questo diceva la piccola e media borghesia ulivista quando parlava della necessità di una riforma del lavoro che comprendesse i co.co.co. L’intera putrida essenza dell’ideologia borghese è stata riassunta poi nella posizione di Sergio Cofferati, il propugnatore della socialdemocrazia massimalista: mentre dalla sua bocca uscivano frasi come; “occorre una riforma parlamentare”, “…questa è una materia delicata che non va riformata a colpi di referendum”; dalla sua penna usciva l’irrimediabile condanna a morte delle speranze proletarie. Straordinario, è il fatto, che circa un anno fa, lo stesso Cofferati aveva portato in piazza tre milioni di lavoratori, tre milioni di proletari, parlando di difesa dell’articolo diciotto come difesa della dignità del lavoratore. Il 16 Giugno la dignità del lavoratore, tanto cara a Cofferati, dove è andata a finire? Peccato che la velocità di Cofferati a tirarsi indietro nella difesa delle istanze proletarie è stata quasi pari alla velocità con cui la generosità del proletariato ha sospinto tre milioni di operai in piazza. E così, ancora una volta, la reazione ha vinto! Naturalmente, sarebbe stupido considerare il referendum sull’astensione dell’articolo 18 una roccaforte rivoluzionaria del proletariato italiano; tuttavia negare la discrezionalità del licenziamento anche ai capitalisti con meno di 15 dipendenti sarebbe stata una vittoria esemplificativa in vari aspetti. Primo fra tutti, l’eventuale vittoria, sarebbe stata una grande imposizione morale del proletariato sulla borghesia confindustriale e finanziaria. Altro positivo effetto, sarebbe potuto essere, la rottura del clima concertativo, che in questo ultimo periodo aveva visto nuovamente protagonisti i tre sindacati confederali. Inoltre si sarebbe potuto assistere ad un nuovo emergere di quelle tensioni tipiche della società capitalistica, e che si esplicitano nel contrasto tra capitale e salario. Questo, tra le altre cose, è un punto da non tralasciare, per avere una corretta visione strategica dell’ambito su cui occorre rimpostare la lotta. Infatti, se l’aver solamente proposto un referendum di questo tipo, ha scatenato una così irruenza levata di scudi di tutta la borghesia italiana, si può facilmente immaginare, quale sarebbe stata la reazione borghese ad una vittoria dello stesso referendum. Molto probabilmente, e senza esagerare, sarebbe stata la più grande ondata reazionaria degli ultimi dieci anni. Tutto ciò, sarebbe stato avvantaggiato anche dalla vittoria che, il 13 Maggio 2001, ha permesso l’ascesa al governo dei rappresentanti della frazione della grande borghesia finanziaria ed industriale, dagli evidenti tratti illiberali e tutta insanamente attaccata alla putrida sottana berlusconiana. Sicuramente, il punto su cui si sarebbe basata la reazione di tutte le frazioni borghesi ( chi più esplicitamente, chi meno) sarebbe stato la precarizzazione del lavoro e la limitazione del raggio d’azione a livello politico degli esponenti della classe operaia, in particolare sul posto di lavoro. Tutto ciò sarebbe passato, soprattutto a livello parlamentare (me le immagino già le tronfie falsificazioni che sarebbero uscite dalla bocca degli esponenti dell’intera borghesia italiana), come un slancio eroico, atto a salvare l’economia italiana dalla minaccia d’incoscienti caporioni di qualche pericoloso nucleo sovversivo che covava all’interno dell’onesta società italiana. Queste, però, sono solo supposizioni che, seppur molto vicine alla realtà, non possono essere avvalorate con metodo scientifico ed empirico, come noi marxisti da sempre siamo soliti fare. Infatti, le supposizioni e le congetture, noi, le lasciamo agli idealisti e agli opportunisti, che nascondendosi dietro le bandiere arcobaleno, lavorano al soldo della repubblica borghese. Occorre, dunque, porre la questione su terreni concreti, al fine di poter progettare una fase iniziale di lotta. In primo luogo, è necessario stabilire quali siano gli scopi immediati che il proletariato italiano (o almeno la sua parte più cosciente) deve porsi, e inoltre quali siano gli strumenti più adatti. Quello che a mio parere occorre fare prima di tutto, e penso che la maggior parte dei compagni sia d’accordo, , è ricostituire la classe del proletariato, soprattutto in relazione al movimento operaio; ossia è necessario far si che il proletariato italiano si trasformi da quelle che Marx chiamava “classe in sé” a quelle che lo stesso Marx chiama “classe per sé”: in poche parole restituire al proletariato quella coscienza di classe che ,da una parte a causa dell’influenza borghese, dall’altra a causa di quella stalinista, nel corso del tempo, si è persa. La parola d’ordine che deriva di conseguenza da tutto questo ragionamento è: un marxista per ogni fabbrica. Ciò, nel passaggio da teoria a prassi ( passaggio ribadito più e più volte da Marx) significa costituirsi un’importante sfera d’influenza almeno sulla parte più sensibile del proletariato. Questo, naturalmente, lo si fa con un minuzioso lavoro all’interno dei sindacati, i quali permettono di condurre un’attività a stretto contatto con la propria classe. Magistrale, da questo punto di vista, è la teoria leninista riguardante l’attività rivoluzionaria all’interno dei sindacati reazionari. Questi punti appena delineati non vogliono avere nulla di innovativo, ma dovrebbero essere delle semplici ed evidenti necessità che ogni compagno cosciente, che vuole contribuire concretamente alla rinascita del movimento comunista internazionale, dovrebbe avere. Occorre, dunque, tagliare con tutte quelle teorie proprie della sinistra parlamentare o che si rifanno a fattori social – imperialisti ed opportunisti. L’articolo 18 è fallito per il fatto che i pseudo – comunisti parlamentari non hanno ancora capito che ogni iniziativa politica deve avere una forte base economico – sociale; purtroppo Bertinotti è arrivato ad un punto di non essere più il rappresentante di nessuna classe sociale. Questo fa si che la rifondazione comunista sia incisiva quanto un filo d’erba nella steppa desolata della dittatura del capitale. Una reale vittoria politica si potrà avere solamente con l’egemonia della classe operaia a livello di rapporti di produzioni; e tutto ciò non può essere smentito da nessuno, perché questo vorrebbe dire smentire la storia, e come disse Marx già molto tempo fa “la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe”. Per far si che queste parole non restino un vanesio idealismo stampato su carta ormai ingiallita, ma che s’innalzino prepotentemente al fianco della bandiera rossa al vento, occorre mobilitare le masse; occorre un partito comunista rivoluzionario, prodotto storico dello sviluppo dell’analisi teorica che da Marx è giunto fino a noi. Sbagliato sarebbe riprodurre asetticamente l’organizzazione del partito bolscevico, poiché diverso era il contesto, diversa l’epoca. Il nuovo partito, guida delle masse in lotta, deve essere la risultante della ricomposizione di quella diaspora, che soprattutto in Italia, ha visto vittima il movimento comunista. Non più dunque, piccoli partiti comunisti settari, ma una grande organizzazione che si in grado di mobilitare i suoi quadri sia attraverso un radicamento territoriale, sia attraverso un’infiltrazione a livello sociale. Primo passo, in questa direzione, è la proposizione di una piattaforma programmatica comune, cui tutte le organizzazioni che si rifanno al marxismo devono aderire. Solo con un fitto dialogo tra i vari partiti rivoluzionari, è possibile la rinascita del movimento comunista internazionalista; tutto ciò inizialmente potrebbe avvenire attraverso una serie d’iniziative, quali per esempio i convegni, dove tutte le persone e le organizzazioni interessate possono partecipare. L’elezione di un comitato atto alla stesura di una piattaforma comune potrebbe essere il secondo passo. Comunque questo, tuttavia, non dovrà essere deciso a priori da un unico individuo, ma in gran parte dovrà essere determinato dalle necessità reali che lo sviluppo storico ci porrà davanti.
P.S: sono del tutto consapevole che la mia giovane età e la mia inesperienza politica non mi consente di poter dare una solida legittimazione a quanto è stato detto. Inoltre non è certamente mio intento innalzarmi come vate del comunismo moderno, anche perché ciò si coniugherebbe male con l’ambito scientifico ed empirico su cui il marxismo si basa e si sviluppa. Vedo, tuttavia, molto chiaramente la necessità di una riunificazione di tutte le forze comuniste al di là delle distinzioni ideologiche (trotzkisti, leninisti, bordeghisti ecc). Queste distinzioni dal mio punto di vista non hanno più molto senso poiché “il nuovo ordine sociale, in quanto superamento dialettico del capitalismo, si organizzerà sulla base dei principi che possono essere soltanto intravisti da coloro che vivono nella società attuale. Questo concetto può essere utilizzato anche nella scelta dei mezzi, appare così insensato rifarsi alla pratica leninista invece che a quella trotzkista oppure a quella di Rosa Luxemburg. La pratica sarà la risultante di quelle necessità storiche che verranno esplicitate dai cambiamenti che intercorreranno nei rapporti tra le varie classi, e in generale nel rapporto tra capitale salario. Detto ciò vorrei sapere il parere di altri compagni. In modo particolare mi piacerebbe sapere se per voi, compagni, in una prospettiva di lungo periodo un progetto simile (piattaforma comune, serie di convegni ecc) sia realizzabile. Grazie
Labriola 3/7/2003
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