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    Indice Brevi Scritti
Trascritto per Internet da Dario Romeo, Dicembre 1999

Le preziose ammissioni di Pitirim Sorokin

Scritto da Lenin il 26 novembre 1918

Pubblicato sulla Pravda n° 252 del 21 novembre 1918

La Pravda [1] ha pubblicato oggi un'interessantissima lettera di Pitirim Sorokin, alla quale tutti i comunisti devono riservare particolare attenzione, in questa lettera, apparsa nelle Izvestia severo-dvinskogo ispolnitelnogo komiteta [2], Pitirim Sorokin dichiara di uscire dal partito dei socialisti-rivoluzionari di destra e di dimettersi da membro dell'Assemblea costituente. I motivi adotti dall'autore della lettera sono che egli non sa dare ricette politiche efficaci né agli altri né a se stesso e che si "ritira" pertanto "dalla politica". "L'anno che è trascorso dalla rivoluzione - scrive Pitirim Sorokin - mi ha insegnato una sola verità: gli uomini politici possono sbagliare, la politica può essere socialmente utile, ma può essere anche socialmente dannosa, mentre il lavoro che si svolge nel campo della scienza e dell'istruzione pubblica è sempre utile, è sempre necessario al popolo...". La lettera reca la firma: "Pitirim Sorokin, libero docente dell'Università di Pietroburgo e dell'Istituto di psicopedagogia, ex membro dell'Assemblea costituente, ex membro del partito dei socialisti-rivoluzionari".

La lettera merita anzitutto attenzione perché è un "documento umano" di estremo interesse. Non si incontra spesso la sincerità e dirittura con cui Sorokin riconosce gli errori della propria politica. Il più spesso gli uomini politici convinti dell'erroneità della linea da loro adottata cercano di nascondere il loro cambiamento di rotta, cercano di attenuarlo, cercano di "escogitare" motivazioni più o meno collaterali, ecc. La franca e onesta ammissione dei propri errori politici è già di per sé un grande atto politico. Pitirim Sorokin ha torto quando afferma che il lavoro di carattere scientifico è "sempre utile". Perché nemmeno in questo campo mancano errori, e nella letteratura russa abbiamo casi in cui uomini notoriamente non reazionari hanno predicato ostentatamente concezioni, diciamo così, filosoficamente reazionarie. D'altra parte, il pubblico annuncio di ritirarsi dalla politica da parte di un uomo in vista, che occupava cioè un posto politico di grande responsabilità è ben noto a tutto il popolo, è anch'esso un fatto politico. L'onesto riconoscimento di un errore politico procura una grande utilità politica a molte persone, quando si tratta di un errore condiviso da interi partiti, che hanno avuto a loro tempo una data influenza sulle masse.

La lettera di Pitirim Sorokin assume una grande portata politica proprio nel momento attuale. Essa impartisce a tutti noi una "lezione", sulla quale bisogna meditare attentamente e che bisogna assimilare.

Ogni marxista conosce da un pezzo la verità che in ogni società capitalistica le forze decisive possono consistere soltanto nel proletariato e nella borghesia, mentre tutti gli elementi sociali, che si trovano fra queste due classi e che vengono inclusi nella categoria economica della piccola borghesia, oscillano inevitabilmente fra queste due forze decisive. Tuttavia, tra l'accettazione libresca di questa verità e la capacità di trarre le conclusioni che da essa derivano nella complessa situazione della realtà pratica, la distanza è abissale.

Pitirim Sorokin è il rappresentante di una corrente sociale e politica molto ampia, cioè della corrente menscevica e socialista-rivoluzionaria. Che si tratti di una corrente unica, che la differenza tra i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, riguardo al loro atteggiamento verso la lotta tra la borghesia e il proletariato, sia trascurabile, questo l'hanno dimostrato in modo particolarmente chiaro e persuasivo le vicende della rivoluzione russa dopo il febbraio del 1917. I menscevichi e i socialisti-rivoluzionari altro non sono che una variante della democrazia piccolo borghese: ecco la sostanza economica e la caratteristica politica fondamentale di questa corrente. La storia dei paesi più progrediti rivela quanto spesso questa corrente assuma, nella sua giovinezza, una tinta "di socialismo".

Ci si domanda che cosa, alcuni mesi or sono, abbia allontanato con particolare violenza i rappresentanti di questa corrente dai bolscevichi, dalla rivoluzione proletaria, e che cosa li solleciti oggi a passare dall'inimicizia alla neutralità? È del tutto chiaro che la ragione di questa svolta è da ricercare anzitutto nel fallimento dell'imperialismo tedesco, legato alla rivoluzione in Germania e in altri paesi, nonché nello smascheramento dell'imperialismo anglo-francese e, inoltre, nel crollo delle illusioni democratiche borghesi.

Soffermiamoci sulla prima ragione. Il patriottismo è uno dei sentimenti più profondi, consacrato dai secoli e dai millenni di esistenza delle diverse patrie. Una delle difficoltà più ardue e, si può dire, eccezionali in cui si è imbattuta la nostra rivoluzione proletaria è stata la circostanza che si è dovuti passare per un periodo di brutale distacco dal patriottismo, per il periodo della pace di Brest. Il dolore, la collera, la furiosa indignazione suscitati da questa pace sono comprensibili, e va da sé che noi marxisti potevamo pretendere solo dall'avanguardia cosciente del proletariato la comprensione del fatto che si sopportano e si devono sopportare i sacrifici nazionali più grandi nel superiore interesse della rivoluzione proletaria mondiale. Gli ideologi non marxisti e le grandi masse lavoratrici, che non appartengono al proletariato addestrato alla grande scuola degli scioperi e dalla rivoluzione, non avevano fonte da dove attingere la salda convinzione che la rivoluzione era matura o l'incondizionata dedizione alla sua causa. Nel migliore dei casi la nostra tattica sembrava solo chimerica, fanatica, avventuristica, sembrava loro come il sacrificio degli interessi materiali più evidenti del popolo, di centinaia di milioni di uomini, ad una speranza astratta, utopistica o dubbiosa in ciò che sarebbe avvenuto negli altri paesi. E, per la sua posizione economica, la piccola borghesia è più patriottica tanto della borghesia quanto del proletariato.

 

Ma le cose sono andate come noi dicevamo.

L'imperialismo tedesco, che sembrava essere il solo nemico, è crollato. La rivoluzione tedesca, che (per riprendere una nota espressione di Plekhanov) sembrava una "farsa chimerica", è diventata un fatto. L'imperialismo anglo-francese, che la fantasia dei democratici piccolo-borghesi dipingeva come un amico della democrazia, come un difensore degli oppressi, si è rivelato di fatto una belva, che ha imposto alla repubblica tedesca e ai popoli d'Austria condizioni peggiori di quelle di Brest, che ha impiegato gli eserciti dei "liberi" repubblicani, degli americani e dei francesi, come gendarmi e carnefici, come soffocatori dell'indipendenza e della libertà delle nazioni piccole e deboli. La storia mondiale ha smascherato quest'imperialismo con implacabile chiarezza e sincerità. Ai patrioti russi, che non desideravano altro se non i vantaggi immediati (concepiti alla vecchia maniera) della loro patria, i fatti della storia mondiale hanno mostrato che la trasformazione della nostra rivoluzione russa in una rivoluzione socialista non era un'avventura, ma una necessità, perché non c'era altra scelta: l'imperialismo anglo-francese e americano soffocherà inevitabilmente l'indipendenza e la libertà della Russia, se la rivoluzione socialista mondiale, se il bolscevismo mondiale non trionferanno.

I fatti sono ostinati, dice un proverbio inglese. Ebbene, negli ultimi mesi, abbiamo avuto esperienza di fatti che significano la più grande svolta di tutta la storia dell'umanità. Questi fatti costringono i democratici piccolo-borghesi di repubblica democratica, nonostante il loro odio per il bolscevismo, alimentato dalla storia della nostra lotta all'interno del partito, a passare dall'ostilità verso il bolscevismo alla neutralità nei suoi confronti e prima o poi all'appoggio di esso. Le condizioni oggettive, che con tanta violenza hanno allontanato da noi questi patrioti democratici, sono cambiate. Si sono infine prodotte nel mondo delle condizioni oggettive che li costringono a spostarsi verso di noi. La svolta di Pitirim Sorokin non è affatto casuale, ma è la manifestazione di una svolta inevitabile di tutta una classe, di tutta la democrazia piccolo-borghese. Chi non sa tener conto e avvalersi di questo fatto non è un marxista ed è un cattivo socialista.

Continuiamo. La fede nell'universale azione salvatrice della "democrazia" in genere, l'incomprensione della natura della democrazia borghese, storicamente limitata per la sua utilità e necessità, questa fede e questa incomprensione si sono perpetriate nei decenni, per secoli in tutti i paesi e, con forza particolare, in seno alla piccola borghesia. La grande borghesia ne ha viste di tutti i colori e sa bene che la repubblica democratica, come ogni altra forma statale in regime capitalistico, è solo una macchina per schiacciare il proletariato. Il borghese sa tutto questo perché conosce intimamente i dirigenti effettivi e le molle più nascoste (che spesso sono più segrete proprio per questo) di qualsiasi macchina statale borghese. Per la sua condizione economica e per tutte le sue condizioni di vita il piccolo borghese ha minore capacità di far propria questa verità e si culla nell'illusione che la repubblica democratica significhi la "democrazia pura", lo "Stato popolare libero", il potere del popolo fuori o al di sopra delle classi, la pura manifestazione della volontà di tutto il popolo, ecc. ecc. La solidità di questi pregiudizi del democratico piccolo-borghese dipende inevitabilmente dal fatto che egli è estraneo alla lotta di classe più acuta, alla Borsa, alla "vera" politica, e sarebbe assolutamente in antitesi col marxismo aspettarsi che la sola propaganda riesca a sradicare in poco tempo questi pregiudizi.

Ma la storia mondiale procede oggi con una velocità così folle e distrugge tutto ciò che è abituale e vecchio con un martello di tale potenza, con crisi d'una violenza così inaudita che persino i pregiudizi più radicati finiscano per crollare. È naturale e inevitabile che nel "democratico in generale" sia nata l'ingenua fede nell'Assemblea costituente, l'ingenua opposizione della "democrazia pura" alla "dittatura del proletariato". Ma ciò che i "fautori dell'Assemblea costituente" hanno subìto ad Arcangelo e a Samara, in Siberia e nel sud, non poteva non distruggere i pregiudizi più radicati. L'idealizzata repubblica democratica di Wilson si è rivelata nei fatti come una forma dell'imperialismo più sfrenato, dell'oppressione e del soffocamento più sfrontati dei popoli piccoli e medi. Il "democratico" medio, menscevico o socialista-rivoluzionario, pensava: "Perché questo tipo di Stato che si pretende superiore, perché questo potere sovietico? Che il Signore ci dia una normale repubblica democratica!". E, naturalmente, in un periodo "normale", relativamente pacifico, una simile "speranza" sarebbe bastata per decenni.

Ma, oggi, lo sviluppo degli eventi normali ed i crudeli insegnamenti offerti dalla coalizione di tutti i monarchici di Russia con l'imperialismo anglo-francese e americano dimostrano nei fatti che la repubblica democratica è una repubblica democratica borghese, già decrepita sotto il profilo delle questioni che l'imperialismo pone all'ordine del giorno della storia. Essi mostrano che non c'è altra scelta: o il potere sovietico trionferà in tutti i paesi progrediti del mondo, o vincerà l'imperialismo anglo-americano, il più sfrenato, il più reazionario, che soffoca tutti i popoli piccoli e medi, che restaura la reazione nel mondo intero, che ha imparato a utilizzare a meraviglia la forma della repubblica democratica.

Delle due l'una.

Non c'è una via di mezzo. Ancora di recente una tale impostazione era attribuita al cieco fanatismo dei bolscevichi.

 

Ma le cose sono andate proprio a questo modo.

Se Pitirim Sorokin si è dimesso da membro dell'Assemblea costituente, non si tratta di un caso, ma del sintomo della svolta di tutta una classe, di tutta la democrazia piccolo-borghese. È inevitabile che nel suo seno si operi una scissione: una parte passerà sulle nostre posizioni, un'altra rimarrà neutrale, una terza si unirà consapevolmente ai cadetti monarchici che vendono la Russia al capitale anglo-americano e aspirano a soffocare la rivoluzione con le baionette straniere. Uno dei compiti più urgenti del momento attuale consiste nel saper tener conto e nel sapersi avvalere della svolta prodottasi tra i democratici menscevichi e socialisti-rivoluzionari che passano dall'ostilità verso il bolscevismo alla neutralità e poi all'appoggio di esso.

Ogni parola d'ordine, lanciata dal partito tra le masse, ha la proprietà di fissare, rendere inerte, conservare per molti la sua validità persino quando siano cambiate le condizioni che avevano reso necessaria questa parola d'ordine. È questo un male inevitabile, e, se non si è imparato a combatterlo e a vincerlo, non si può garantire che la politica del partito sia giusta. Il periodo in cui la nostra rivoluzione proletaria si è allontanata con singolare violenza dalla democrazia menscevica e socialista-rivoluzionaria era storicamente necessario: senza una lotta aspra contro questi democratici, nel momento in cui pencolavano verso il campo dei nostri nemici e lavoravano per restaurare la repubblica democratica borghese ed imperialistica, non saremmo riusciti ad avere la meglio. Tuttavia, le parole d'ordine di questa lotta sono divenute oggi inerti e anchilosate, in quanto impediscono di tener conto e di avvalersi coerentemente di una nuova fase, in cui una svolta si è prodotta in seno a questa democrazia, una svolta nella nostra direzione, una svolta che non è affatto casuale, ma radicata nelle condizioni più profonde di tutta la situazione internazionale.

Per agevolare questa svolta, non basta accogliere amichevolmente chi si sposta verso di noi. Un uomo politico consapevole dei suoi obiettivi deve saper suscitare questa svolta nei diversi strati e gruppi della grande massa democratica piccolo-borghese, quando sia convinto che una tale svolta sia imposta da motivi storici seri e profondi. Il proletariato rivoluzionario deve sapere chi sia da reprimere e con chi - come e quando - sia da concludere un accordo. Sarebbe ridicolo e assurdo rinunciare al terrore e alla repressione nei confronti dei grandi proprietari fondiari, dei capitalisti e dei loro valletti, che vendono la Russia agli imperialisti "alleati". Sarebbe solo comico cercare di "persuaderli" ed "influire" su loro "psicologicamente". Ma sarebbe altrettanto - se non più - assurdo e ridicolo persistere nella sola tattica del terrore e della repressione nei confronti della democrazia piccolo-borghese, nel momento in cui il corso degli eventi la costringe a spostarsi verso di noi.

Il proletariato s'imbatte dappertutto in questa democrazia. Nelle campagne noi dobbiamo liquidare il grande proprietario fondiario, spezzare la resistenza dello sfruttatore e del kulak speculatore; per far questo possiamo poggiare stabilmente soltanto sui "semiproprietari", sui "contadini poveri". Ma il contadino medio non è nostro nemico. Egli ha esitato, esita, esiterà: ma il compito di influire sugli esitanti non si identifica con quello di rovesciare lo sfruttatore e sconfiggere chi si oppone attivamente. Riuscire ad accordarsi con il contadino medio, senza rinunciare nemmeno per un istante alla lotta contro il kulak e poggiando stabilmente soltanto sui contadini poveri: ecco il compito del momento, perché proprio oggi, per le ragioni esposte sopra, diviene inevitabile la svolta del contadino medio nella nostra direzione.

Lo stesso si dica degli artigiani, degli operai che sono posti nelle più pronunciate condizioni piccolo-borghesi o che hanno conservato la più pronunciata mentalità piccolo-borghese, di molti impiegati, degli ufficiali e, soprattutto, degli intellettuali in genere. Non c'è dubbio che nel nostro partito si nota spesso l'incapacità di trarre profitto da questa svolta, ma una tale capacità può e deve essere superata e trasformata in capacità.

Noi già abbiamo uno stabile segno nella stragrande maggioranza degli operai organizzati nei sindacati. Bisogna saper reclutare, inserire in un'organizzazione unica e sottomettere alla disciplina generale proletaria gli strati meno proletari e più piccolo-borghesi dei lavoratori, che si orientano verso di noi. In questo caso la parola d'ordine non è quella di lottare contro di loro, ma di attirarli a noi, di influire su di loro, di persuadere gli esitanti, di utilizzare i neutrali, di educare - mediante l'influenza proletaria di massa - quelli che sono in ritardo o che solo da poco tempo hanno cominciato a disfarsi dell'illusione dell'"Assemblea costituente" o delle illusioni "patriottiche democratiche".

Noi già disponiamo di uno stabile sostegno in seno alle masse lavoratrici. Il VI Congresso dei Soviet [3] lo ha dimostrato con particolare chiarezza. Non ci fanno paura gli intellettuali borghesi, e non indeboliremo neanche per un momento la nostra lotta contro i malvagi sabotatori e le guardie bianche. Ma la parola d'ordine del momento è di saper utilizzare la svolta, che si è operata nelle loro file verso di noi. Da noi sono ancora molti i peggiori rappresentanti dell'intellettualità borghese che si sono "adattati" al potere sovietico: metterli alla porta, sostituirli con intellettuali che ancora ieri ci erano consapevolmente ostili e che oggi sono soltanto neutrali, ecco uno dei compiti più importanti del momento attuale, un compito che riguarda tutti gli esponenti sovietici, a cui capita di trattare con gli "intellettuali", un compito che riguarda tutti gli agitatori, i propagandisti e gli organizzatori.

Naturalmente, l'accordo con il contadino medio, con l'operaio che ancora ieri era menscevico, con l'impiegato o con l'intellettuale che ancora ieri era un sabotatore, richiede un certo talento, come ogni azione politica che si svolga in una situazione complessa ed in rapida evoluzione. L'importante è non accontentarsi delle capacità che abbiamo acquisto attraverso la nostra esperienza precedentemente, l'importante è di andare immancabilmente oltre, di ottenere assolutamente di più, di passare immancabilmente dai compiti più facili a quelli più complicati. Senza di ciò non si potrà avere nessun progresso in genere, non si potrà garantire nessun successo nella costruzione del socialismo.

Nei giorni scorsi mi sono incontrato con i rappresentanti del congresso dei delegati delle cooperative di credito. Mi hanno dato in lettura la risoluzione approvata dal loro congresso contro la fusione della banca cooperativa di credito con la banca nazionale della repubblica. Ho detto loro che ero favorevole all'accordo con il contadino medio e che apprezzavo molto anche l'inizio di una svolta dei cooperatori, che dall'ostilità passano alla neutralità nei confronti dei bolscevichi, ma che la base d'un accordo poteva ricercarsi solo se essi accettavano la completa fusione della banca cooperativa con la banca unica della repubblica. I rappresentanti del congresso hanno sostituito la loro risoluzione, hanno fatto approvare dall'assemblea una nuova risoluzione, nella quale era stato soppresso tutto ciò che si diceva contro la fusione, ma... ma hanno proposto il piano di una speciale "unione di credito" dei cooperatori, che non si distingueva in niente dalla banca cooperativa! È una cosa ridicola. Naturalmente, con le parole riverniciate si può nutrire o ingannare soltanto un imbecille! Ma il "fallimento" di uno di questi... "tentativi" non può mettere in forse la nostra politica; verso i cooperatori, verso il contadino medio noi abbiamo realizzato e continuiamo a realizzare una politica di accordo, liquidando tutti i tentativi di modificare la linea del potere sovietico e dell'edificazione socialista sovietica.

Le oscillazioni dei democratici piccolo-borghesi sono inevitabili. Sono bastate alcune vittorie dei cecoslovacchi perché questi democratici cadessero nel panico, seminassero il panico, passassero nel campo dei "vincitori" e si dimostrassero pronti ad accoglierli servilmente. Beninteso, non bisogna dimenticare nemmeno per un attimo che anche oggi basterebbero alcuni successi parziali, poniamo delle guardie bianche anglo-americane e di Krasnov, perché i democratici comincino a spostarsi nell'altra direzione, perché il panico si accentui, perché si moltiplicano i casi in cui si semina il panico, i casi di tradimento e di passaggio nel campo degli imperialisti, ecc. ecc.

Questo lo sappiamo. E non lo dimenticheremo. La base puramente proletaria - già da noi conquistata - del potere sovietico, sorretto dai semiproletari, continuerà ad essere ben stabile. Il nostro esercito non tremerà, non esiterà: questo lo sappiamo per esperienza. Ma, quando i mutamenti più profondi della storia mondiale suscitano una svolta inevitabile a nostro favore in seno alle masse democratiche senza partito, mensceviche e socialiste-rivoluzionarie, noi dobbiamo imparare, e impareremo, a utilizzare questa svolta, a sostenerla, a provocarla nei rispettivi gruppi e strati, a fare tutto il possibile per realizzare un'intesa con questi elementi, ad agevolare così la costruzione del socialismo, ad attenuare le gravose conseguenze dello sfacelo economico, dell'ignoranza, dell'incapacità, che ritardano il trionfo del socialismo.

Note

1. Pravda (La Verità), quotidiano bolscevico, fondato da Lenin nel maggio 1912. Organo centrale del CC del PC(b)R prima, del PCUS poi.

2. Lenin cita la lettera di Pitirim Sorokin dalla Pravda (n°251, 20 novembre 1918), in cui era indicata erroneamente la testata del giornale dove il brano era apparso originariamente. Il giornale del Comitato esecutivo della Severodvinsk si chiamava in realtà Krestianskie i Rabocie Dumy, e la lettera era stata pubblicata nel n° 75 del 29 ottobre 1918.

3. Il VI Congresso straordinario dei Soviet di tutta la Russia ebbe luogo a Mosca nel novembre 1918.

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Ultima modifica 13.12.1999