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Posted - 03/04/2003 : 20:10:33
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Questo è il testo di una mail che la redazione ha inviato ad una lista di frequentatori il 3/4/03. La mail aveva in allegato il documento USA sulla Difesa. Potete eventualmente richiedercelo via mail.
- Il governo accelera la fine della leva militare: e Karol non dice niente.
Nell'ultima mail avevamo stigmatizzato il catastrofismo delle milionarie redazioni di vari quotidiani italiani che avevano annunciato nella guerra irakena il contrattacco di Saddam Hussein. Dopo 36 ore stanno già annunciando l'attacco USA a Bagdad. L'insipienza miliardaria di chi voleva adoperare i militari contro l'amministrazione politica (Bush) è naufragata nella constatazione che i militari avrebbero preferito un bombardamento pesante preventivo e l'impiego di mezzi pesanti, contro l'idea di Rumsfeld, di adoperare mezzi cosiddetti «leggeri». Insomma le «colombe», così le chiamano loro, si sono rivelate peggio degli incazzosi, antipatici, arroganti politici dell'amministrazione Bush, i «falchi» come li chiamano loro. Così sono passati dal «contrattacco» alla «pausa», in cuor loro sperando si trasformasse nel «pantano» profetizzato da Saddam. Questi borghesi infingardi sperano sempre che gli altri facciano ciò che loro sono incapaci di fare, che sono incapaci persino di dichiarare. Con la «pausa» ancora fresca di stampa gli USA «rompevano la linea rossa», assumendo il controllo dei ponti sul tigri e sull'eufrate a sud di Bagdad. La «linea rossa» è un invenzione degli attaccanti, ma che i ponti non siano stati fatti saltare dagli attaccati è veramente sorprendente. Una possibile spiegazione è che anche gli irakeni, che non hanno un lavoro di "intelligence", abbiano creduto alla «pausa». Vale a dire che nelle redazioni non solo si naviga a vista ma si arriva all'idiozia, all'utile idiozia, e/o alla complicità. In mancanza di meglio non mancano le sempre meno fugaci occhiate (umanitarie) alla torta, alla «forza di pace», cui vogliono, democraticamente, partecipare tutti. A differenza dei coccodrilli questi signori piangono, sempre più forte, prima del pasto: ospedali, scuole, ministeri, telecomunicazioni ecc.. Così la commozione dei «corrispondenti» è direttamente proporzionale al profitto futuro, del resto essi stessi non sono in Irak per la «professionalità»? La «sinistra» intanto arriva ad auspicare una pace «immediata» e, contemporaneamente, una lunga resistenza del regime irakeno per non «legalizzare», a posteriori, l'occupazione USA. Le due cose non sono in contraddizione, anzi sono due gradazioni della stessa speranza: che la «Pace» vinca, e che con essa la «fraternità», la «serenità» capitalistica, tanto a farla vincere saranno gli irakeni mandati al massacro nei loro carri armati tombali, in una guerra impossibile, non essendo il deserto irakeno la jungla vietnamita. Dalla lezione del VietNam possiamo e dobbiamo ricavare la più preziosa delle lezioni. Quali vantaggi ha portato al movimento rivoluzionario la vittoria dei Vietcong e dei Khmer rossi? Nessuno. Da quel movimento, che confidava nei vari Ho Chi Min e Pol Pot, non sono arrivati che danni e delusioni per chi aspirava ad una lotta anticapitalistica. Le illusioni «internazionaliste» sono naufrate con le zattere dei boat-people, sono finite all'ammasso con le montagne di teschi «cittadini» ammucchiati da Pol Pot. Per i comunisti la barbarie finanziaria non è meno criminale della barbarie precapitalistica delle tribù arabe. Senza una prospettiva comunista, che solo il proletariato delle metropoli può dare, alla popolazione mondiale che si oppone alla diffusione capitalistica non resta che una prospettiva reazionaria (Vedi lettera di Marx alla Zasulic e la prefazione all'edizione russa del "Manifesto" ( http://www.rottacomunista.org/cds/Urss1789_1.htm). Quindi siamo «socialmente» tanto contro Bush quanto contro Saddam, perché, per i rapporti di forza che oggi dobbiamo subire, il nemico del nostro nemico non può essere ancora un nostro amico. Non dobbiamo e non possiamo nasconderci le nostre responsabilità illudendoci di essere «indipendenti» da Bush tifando Saddam. Il nostro obbiettivo, oggi, è la nostra indipendenza di comunisti e le contraddizioni internazionali possono rendere, relativamente, più agevole il raggiungimento di tale obbiettivo ma a patto che non vi si rinunci in partenza, che non si corra dietro ai «miraggi» di turno. Lasciamo che sia solo la borghesia «progressista» italiana a rinunciare alla propria (impossibile) indipendenza, ad adattarsi agli avvenimenti, agli interessi del più forte. Non saremo la platea sentimentale pronta a festeggiare i loro investimenti irakeni, come non piangeremo sulla (eventuale) ingloriosa fine di Saddam. Rilevante che nel silenzio della «sinistra» anche «disobbediente», e del «Santo Padre», in questi giorni il governo abbia accorciato i tempi della riforma della leva militare anticipandone la fine di due anni. Hanno fretta di adeguare lo strumento militare al nuovo scenario mondiale inaugurato dalla guerra in Irak. Intanto il «pacifismo», essendo il difensore della pace che ha prodotto la guerra, è già sconfitto. A chi è conseguentemente per la «pace» non resta che il lavoro per abbattere le condizioni sociali che la riducono ad un mero periodo di preparazione della guerra, non resta che la speranza in una società comunista (l'URSS non lo è mai stata neanche lontanamente). Avviamo questo lavoro, più precisamente questa speranza, rigettando tutte le scorciatoie illusorie, i miraggi hollywooddiani sui despoti barbari che fermano l'altrettanto dispotico imperialismo mondiale.
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