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Posted - 27/04/2003 :  23:38:36  Show Profile
Mail del 10/04/2003
Il destinatario di queste osservazioni ha costruito, con un serio lavoro, un proprio sito in cui, in modo del tutto indipendente, riproduce testi ed articoli di Lotta Comunista di cui è, appunto, un sostenitore.
L'indirizzo esatto è: www.primomaggiointernazionalista.it

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Ho visitato il tuo sito (....) e ho letto:

«Il compagno La Barbera riprende un carteggio tra Conrad Schmidt e Friedrich Engels sul rapporto tra la realtà e i concetti che la rappresentano. Pagine intramontabili dell'analisi marxista applicate con cognizione ai giorni nostri.»

Incuriosito da «Pagine intramontabili» e da «giorni nostri», sono entrato ed ho letto l'articolo che inizia così:

"La contesa mondiale entra in una fase di crisi, la scienza marxista si trova a scrutare le incognite del mutamento. La teoria, unica bussola di fronte all'inedito, può vincere la sfida. Deve però mettere a frutto l'esperienza scientifica accumulata senza cadere nell'ínsidia della schematismo. Una questione non nuova."


L'articolo riporta una discussione, un'utilissima lezione, vecchia almeno per Engels, a C. Schimdt, ma converrai che dei «giorni nostri», scusa ma non dice proprio niente, come converrai con me, del resto, che non si tratta affatto di denunciare il pericolo dello schematismo ma di non caderci.
Ma se proprio bisogna combattere lo schematismo occorre precisare: lo schematismo di chi, quale? Siccome ciò non viene mai fatto se ne deve dedurre che la lotta è contro il proprio schematismo. E' una lotta che lascia annichiliti: lo scienziato conduce una titanica lotta contro se stesso (l'insidia dello schematismo) per rassicurare il lettore: se non abbiamo capito, capiremo, tranquilli, ci siamo persi ma abbiamo la bussola. Infatti:

"La mente è per natura conservatrice, ma la scienza non tollera la pigrizia dello schema. La crisi internazionale cova mutazioni inattese."


Perché i soggetti siano sempre astratti non capisco. Concederai per un minimo di dialettica, per scienza s'intenda la ....mente dello scienziato: come mai anche per lei le mutazioni restano «inattese» come fosse una qualsiasi «mente per natura conservatrice»? Dialettica anche questa?

Naturalmente la realtà s'impone sulle ideologie, basta aspettare. La crisi scoppia e ... la teoria comprende, vedi editoriale di LC datato Marzo.

«Il Golfo è il petrolio, ma il vero obiettivo di guerra per cui si combatte in Irak, anche a mezzo del greggio, è il tempo. Non la manciata di giorni o di settimane in cui cadranno o si consegneranno Bassora, Baghdad, Kirkuk o Mosul. La misura del tempo in questione è altra cosa, sono gli anni e i decenni della contesa tra le grandi potenze dell'imperialismo. Washington si è persuasa che le tendenze in atto sul piano politico ed economico in futuro la sfavoriranno, dunque ha scelto di giocare d'anticipo sui tempi del suo relativo declino. Si tratta soprattutto di porre condizioni all'Europa e alla Cina, che sta nno cambiando i grandi equilibri mondiali tra le potenze: l'Europa strutturando la sua forza politica, la Cina affermandosi come gigante industriale e traducendo sul piano politico-militare quella forza accresciuta. O gli Stati Uniti si muovono oggi cercando di condizionare il mutamento, si pensa a Washington, oppure domani quel mutamento lo dovranno subire, indirizzato dalla potenza moltiplicata e forse combinata di Cina ed Europa. Va da sé, per converso, che a Bruxelles e Pechino l'interesse è lasciar agire tendenze che muovono in loro favore. Il nocciolo della conversione americana all'azione preventiva è in questa opposta percezione dei tempi, e il conflitto è una «guerra politica» appunto nel senso che è stata pianificata e attuata dagli Stati Uniti con l'esplicito intento di influire sulla bilancia mondiale delle potenze. Nella «dottrina Bush», la «guerra preventiva» contro il terrorismo e la proliferazione delle armi atomiche, chimiche e batteriologiche infatti trascolora nella tesi che l'America non consentirà ad altre potenze di sfidarla o raggiungerla, mantenendosi forte abbastanza per «dissuadere i potenziali avversari dal perseguire una politica di riarmo che speri di sorpassare o di eguagliare la potenza degli Stati Uniti».

A parte la venatura filosofica sui «tempi» (ma non erano lunghi...anzi lunghissimi?) in realtà qui non si fa che constatare quanto scritto dagli USA negli ormai famosi documenti
"REBUILDING AMERICA’S DEFENSES"
- Strategy, Forces and Resources For a New Century -

e nel successivo

"LA STRATEGIA DELLA SICUREZZA NAZIONALE" - I nuovi indirizzi di politica internazionale dell'Amministrazione Bush Documento presentato al Congresso americano il 20 settembre 2002 (che tra l'altro ti ho mandato via e-mail, se non li hai dimmelo che te li mando).

Qualsiasi (in effetti tutti) ex gruppettaro sessantottino ne ha fatto l'oggetto più o meno consapevole della propria, cosiddetta, analisi ma in effetti nessuno spiega come gli USA siano riusciti a rendere nazionale tale politica, cioè come si passa dal primo al secondo documento. Anche questo è comunque dibattuto persino a "porta a porta", conduttore il televisivo sig. Vespa.
Comunque l'editoriale prosegue

«Questo tempo lungo del confronto strategico collega processi in apparenza distinti.»

Può darsi che siano distinti ma in che senso è possibile definire in qualche modo «Questo tempo» lungo? Infatti proseguendo

«Il concetto di "ritardo storico" del partito rivoluzionario poteva sembrare difficile da afferrare, e invece eccolo squadernato dal "momento decisivo" della crisi e della guerra.»

Quindi, oggi «eccolo squadernato». Ma con ciò ammette che il ritardo non è storico, relativo a compiti astratti (comunismo ecc.) ma è odierno, relativo a compiti concreti, al «"momento decisivo" della crisi e della guerra.», questo si deve, si dovrebbe, dire. Non altro.
Ancora:

«Il mercato capitalistico è mondiale, le classi sono mondiali, il gioco delle potenze imperialistiche è mondiale, una strategia rivoluzionaria può essere solo mondiale. »

Ma che vuol dire? Una strategia rivoluzionaria è o non è rivoluzionaria, è o non è una strategia, e che per essere rivoluzionaria debba essere mondiale è solo una conseguenza. Ma quale sarà mai questa strategia mondiale che Lotta Comunista richiama sempre ma non illustra mai? Mah!

«Invece le coscienze degli uomini - cuori e cervelli e non, si badi bene, la loro esistenza reale, che è già universale - sono prigioniere di piccoli recinti locali e nazionali, e ci vuole la particolare e reazionaria imbecillità no global a vedervi un rifugio contro i mali del mondo.»

Qui i conti non tornano. Inutile prendersela con i no-global. Se le classi sono mondiali le ideologie sono mondiali, non per niente l'ideologia no-global non è italiana. Questo principio elementare del materialismo storico che descrive la coscienza come prodotto della propria esistenza sociale non può essere negato descrivendolo come un ritardo. Engels (quello dell'articolo precedente) può essere adoperato per le mutazioni sociali non per quelle politiche. Noi non ci occupiamo delle «coscienze degli uomini», ma di quella delle classi. E l'inconsapevolezza del proletariato mondiale si spiega non con i recinti locali ma con la subordinazione sociale. Avere la strategia mondiale e lasciare che la coscienza, quella proletaria, sia solo una «pagina bianca», questo sì che può spiegarsi con un ritardo delle menti.
Ancora.

«La riflessione strategica guardando ai decenni sa affrontare le scelte per l'oggi, e saldarle ai princìpi. «Il nemico è in casa nostra!», fu il monito degli internazionalisti nel 1914. Fu anche il titolo del primo numero di "Lotta Comunista", quasi quarant'anni orsono, e non per caso. La leva politica dell'europeismo imperialista, oggi insediata nei parlamenti e nelle cancellerie, riempiva allora le piazze e faceva il suo apprendistato nell'antimperialismo a senso unico, contestando Washington, accodandosi a Mosca e preparandosi a servire l'Europa. Una posizione internazionalista va letteralmente ricostruita passo dopo passo, ma solo la chiarezza strategica legherà al marxismo una nuova generazione. L'opposizione alla guerra è inseparabile dalla lotta all'imperialismo europeo.»

Il nemico sarà anche in casa nostra ma l'Italia non è in guerra, cosa c'entra il 1914? Non era ben altra cosa?
Ma l'imperialismo europeo, oggi, esiste solo nello schema di Lotta Comunista per cui l'ambizione franco-tedesca di egemonizzare l'Europa viene descritta come una astratta tendenza la cui realizzazione rivela «nelle linee di Chirac o Schróder l'obiettivo dell'autonomia strategica dell'Europa nella bilancia mondiale». Ma cos'è l'Europa, il riflesso, la concretizzazione della sua idea nella realtà, ma che siamo retrocessi ad Hegel? Le linee di Chirac e Schroeder in realtà rivelano gli interessi nazionali degli imperialismi francese e tedesco, il loro interesse ad egemonizzare l'Europa. L'Europa è in realtà una lotta tra gli Stati in cui ognuno di questi tenta di collocare il proprio nella migliore posizione possibile sul mercato mondiale.

Quindi si è gia caduti nella «insidia dello schema», nel proprio schema, quando si conclude che «la riflessione strategica guardando ai decenni sa affrontare le scelte per l'oggi», e cosa sceglie Lotta Comunista per l'oggi? La lotta all'imperialismo europeo. (!?!?!?!)

Peccato che, materialmente, l'imperialismo europeo non esista ancora, che sia una tendenza, «uno schema». Dove sono la sua polizia, il suo esercito, i suoi tribunali, oggi?
O il «nemico è in casa loro», cioè, in questo momento, in Francia e/o in Germania, o non si spiega tanto ritegno contro l'imperialismo italiano, quindi contro il governo, contro Berlusconi. Non sarà, come per le giornate del G8 a Genova, per non mettere a rischio la strategia mondiale?

Ma adesso ti saluto.


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Posted - 14/05/2003 :  23:24:09  Show Profile
Il testo a seguire, nonostante appaia come una risposta al messaggio soprastante, è una risposta al compagno summenzionato. Alla sua risposta che non riproduco, ovviamente, perché non ne sono l'autore. Comunque dal testo seguente sono chiare alcune sue osservazione a cui rispondo.



Ciao

Ok. Cercherò di mettere nel forum il contenuto di questa chiacchierata nel modo più asettico possibile. Potresti anche registrarti al forum tu stesso, forse sarebbe meglio, mettendo così a disposizione degli altri il tuo indirizzo www ed e-mail.

Ma torniamo al merito.

In sostanza mi pare di aver detto l'essenziale senza mancare il bersaglio. Ti invito solo a riflettere bene su alcuni punti su cui del resto tu stesso hai posto attenzione.

Lo schematismo deve essere combattuto in ogni caso, nemico o non nemico. va da se che la lotta allo schematismo è e non può essere che ideologica, di idee.
Giustificato quindi, nonostante le tue obiezioni, il fatto che, da qualunque parte provenga, questo deve essere combattuto sulla base dei fatti che vengono schematizzati dimostrando l'errore come schematico(1). Per esempio se io affermo che Lotta Comunista ha descritto con la tendenza all'imperialismo europeo uno «schema» di sviluppo di alcune potenze imperialistiche affermo un fatto indiscutibile. Questo fatto è anche necessario per descrivere, esemplificare, rendere esponibile, la tendenza economica e politica di quelle potenze imperialistiche. Non credo possa esistere un altro modo di procedere. Con questo schema però si esemplifica appunto una tendenza, il futuro, non la situazione reale, il presente. Anzi da questo si estrapolano alcuni aspetti identificando appunto la tendenza(2). L'introduzione dell'euro conferma la tendenza, non la contraddice, ma non ne cambia la natura: questa resta comunque soltanto, ancora, una tendenza.

La crisi Irak ha costretto tutti, Stati partiti e Chiese, a riposizionarsi rispetto ad essa.
Lotta Comunista ha invece collocato l'intervento in Irak nel proprio schema introducendo l'idea del «guado»(3) che, come tutti sanno si compie o non si compie, quindi confermando una visione secondo la quale l'Europa sarà franco-tedesca o non sarà. Rilevando nell'Europa (franco-tedesca) che si opponeva agli USA, il «nemico in casa nostra», si riduceva di fatto ad attaccare un «nemico» all'estero. Tutto ciò a conferma dello schema ma in contraddizione con la reale posizione dell'imperialismo italiano, quindi schematico. Inoltre tutta l'esposizione rispetta l'idea che la forza identificata come tendenza sia quella destinata a vincere e dunque quella scelta come riferimento per la propria azione. Ma proprio questa esposizione mostra il carattere metodologico, non episodico, dell'errore.

Ma basta con questa questione. Ben più interessante come venga svilito lo «slogan» «il nemico è in casa nostra». Lasciamo anche perdere il fatto che in Italia, non essendo questa in guerra, non ha oggi alcun significato. Anche nel 1914 questa frase era uno slogan destinato ad una situazione di guerra. Con esso si indicava a chi considerava «nemico» l'esercito avversario: «non è come ti han fatto credere, il nemico è in casa tua, è la borghesia». In questo slogan «nemico» non ha affatto un accezione classista ma quella del borghese luogo comune. Che senso ha indicare che un «nemico», che nessuno vede e quindi considera tale, «è in casa nostra»? Se invece alla parola «nemico» noi diamo un'accezione di classe, di nemico di classe, allora lo slogan perde di significato, rientrando tranquillamente nella normale propaganda comunista e nei suoi conseguenti slogan classisti.
Sugli stessi argomenti «Programma Comunista» ha titolato «Il disfattismo rivoluzionario è l'unica risposta». Non voglio qui commentare l'uso di questa «parola d'ordine», di quest'invito all'azione non si sa bene di chi, visto che ha un senso solo rispetto all'esercito, a dei soldati.
In realtà Progamma e Lotta Comunista si richiamano a questi due emblemi della lotta rivoluzionaria come a dei «distinguo» rispetto alla posizione pacifista ritenendola avversa ad una posizione comunista quanto quella dei guerrafondai del 1914.
Non entro nel merito di questa loro valutazione attuale. Certo che entrambi non si pongono minimamente la questione della posizione da assumere oggi restando sul terreno di un'astratta propaganda la cui natura «comunista» dimostrerebbe al mondo che essi sono «veramente», effettivamente, comunisti.
Peccato che nessuno avverta questa loro necessità come qualcosa di politicamente utile ad affrontare un qualsiasi avvenimento.
Essi si comportano come se il proletariato fosse mai stato disposto a «seguire» solo le vere posizioni comunisti. Essi pensano veramente che il proletariato che ha sostenuto il PCI lo avesse sostenuto perché «ingannato» dalle bandiere rosse, dai richiami a Lenin ecc. ecc.. Essi sono rimasti a quel lavoro, un'epopea della sinistra comunista, di «demistificazione» dottrinaria il cui compito consisteva nello «svelare» come tali i «socialtraditori». E chi meglio di loro, «detentori» della scienza marxista potrebbe compiere quest'opera?
Questo «riflesso condizionato» impedisce loro di cogliere il significato concreto sia de «il nemico è in casa nostra» come del «il disfattismo rivoluzionario» con cui si sposa. Se tutti facessimo così la crisi irakena anziché aprire un terreno di lotta per le posizioni comuniste rimarrebbe un utile avvenimento per illustrare la necessità del comunismo. Così facendo però ogni guerra assumerebbe lo stesso valore sociale di una qualsiasi messa in cassa integrazione o giù di lì.


(1) Per inciso, se gli editoriali venissero scritti, come dici tu, per combattere lo schematismo dei simpatizzanti, per convincerli della giusta teoria ecc., Lotta Comunista sarebbe veramente alla frutta. Credo invece che gli editoriali siano una lezione al «mondo intero» incapace di comprendere la profonda genesi teorica delle posizioni di Lotta Comunista. Comunque, che si caschi nello schematismo che si sta combattendo è, in ogni senso, deludente. Né vale l'osservazione che occorrebbe leggere tutti gli editoriali. Lotta comunista scrive libri con i propri editoriali e articoli, non viceversa. Capirei quindi la tua osservazione se gli articoli fossero brani di un libro. E' invece il contrario e può e deve tenerne conto solo chi scrive non chi legge.

(2) Nonostante la prosa declamatoria degli editoriali in tutto questo non c'è niente di specificatamente marxista. Ad es. ciò avviene normalmente in meteorologia.

(3) La cosa è in sé opinabile nel senso che anche la partecipazione entusiasta dell'Europa alla guerra irakena sarebbe stata un «guado» per un Europa atlantica, con interessi Franco-tedeschi non preponderanti. Comunque ho già mostrato le pecche «hegeliane» nel modo con cui l'editoriale concepisce la tendenza europea, quindi sorvolo sul fatto che questa sia stata ridotta a quella franco-tedesca e la conseguente, ingiustificabile, mancata presa di posizione «contro» l'imperialismo italiano.


Ciao.

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